Psicologia del malato di cancro

 

La nostra salute, il senso di benessere soggettivo e complessivo che la persona vive nel suo contesto, può essere minacciata dalla malattia. Quando poi la malattia prende il nome di cancro, la persona che ne è colpita ha l‟impressione di essere completamente invasa dal male: cade facilmente nella disperazione, in una condizione catastrofica, nella perdita di speranza. Nell‟immaginario individuale e collettivo il cancro continua ad associarsi a significati di sofferenza fisica e psichica, di disperazione, di morte, di stigma, di colpa, di vergogna. Sono “bordature metaforiche” che, per il cancro, da sempre risvegliano l’idea di un processo insidioso, misterioso, divorante e contagioso. Identificato nell‟antinomia amico-nemico, dove il “nemico” riesce a modificare e ad incidere sugli affetti attraverso impronte inalterabili che permeano le emozioni, i pensieri e i comportamenti della persona colpita, sia a livello personale che individuale (Tibaldi M., 2010).

C’è la tendenza da parte di tutti, medici e familiari, a tenere nascosta la malattia:

La collusione che si stabilisce tra medico, paziente e famiglia, alimenta ciò che è stato definito come la „cospirazione del silenzio‟. C’è riluttanza a parlarne forse perché in tutti noi, di fronte a questo male, nasce un sentimento di rabbia, di impotenza, di morte, di arrendevolezza, di incapacità ad entrare in relazione con l‟altro: ma soprattutto c‟è un‟incapacità ad esprimere e a tollerare ciò che tutto questo provoca dentro di noi, poiché il pensiero ricorrente che si affaccia alla nostra mente, quando qualcuno che conosciamo viene colpito da questa malattia, è “…può capitare anche a me…”(Morasso G., 2005).

La medicina si è sempre occupata di come ci si ammala, ma ha trascurato quelle che sono le modalità di reazione alla malattia a livello psicologico. Di quest‟ultimo aspetto si occupa la psiconcologia, disciplina relativamente nuova, che, in un‟ottica multidisciplinare, mira ad una presa in carico globale del paziente neoplasico, che va dalla valutazione psicologica prima della comunicazione della diagnosi, alla fase riabilitativa, sino, dove necessario, alla corretta gestione psicofisica del malato terminale. Di fronte ad una diagnosi di cancro, immediatamente, ciò che scatta nel paziente sono meccanismi di ansia e di depressione, anche in caso di prognosi favorevole, il primo pensiero di chi riceve la diagnosi continua ad essere : “…per me è finita! Non mi rimane molto più tempo da vivere” (Carotenuto A., 1996). Inoltre, nella vita quotidiana, tendiamo a non pensare alla sofferenza, alla morte, tendiamo a negarle, a credere che possano capitare agli altri, ma non a noi. Lo sgomento che la diagnosi suscita deriva dal fatto che essa spazza via questo convenzionale modo di pensare alla morte. La “sindrome psiconeoplastica” è formata da un insieme di dinamiche psichiche profonde arrivate fin dalla diagnosi. La sua intensità morbosa dipende dalla personalità del soggetto, dall‟età, dalle condizioni fisiche, dalle esperienze fatte nell‟ambiente in cui vive, dal tipo di tumore diagnosticato e dal valore simbolico dell‟organo colpito.

Il processo invasivo della neoplasia, questo lento, ma continuo, proliferare di cellule “impazzite” e maligne, determina una marcata angoscia di disgregazione, conseguente all‟alterazione del vissuto corporeo e dell‟identità psicofisica del soggetto ( Torta R., Mussa A., 2007). Questo processo si esprime, a livello comportamentale e relazionale, nell‟incapacità a gestire la situazione di crisi che la malattia attiva, ed i bisogni affettivi e sociali modificati dalla malattia.

Il cancro, infatti, rappresenta per il paziente e per la sua famiglia, ma anche per i medici e per gli psicologi, una prova esistenziale sconvolgente, una catastrofe, dalla quale si può uscire o “annientati‟ o “rinati”, con una nuova dotazione caratteriale.

Il paziente deve riorganizzare la propria vita: per far questo ha bisogno di ricorrere al massimo livello di creatività, per poter così trasformare una sconfitta in una esperienza di rinascita. La creatività lo mette al riparo dalla possibilità di soccombere alla distruttività, che costituisce il rischio maggiore di qualsiasi crisi; la morte, la perdita di speranza, la desolazione degli affetti è sempre in agguato.

La soluzione va cercata in quelli che sono gli aspetti favorevoli della crisi: gli elementi di „tragicità‟ della crisi consentono un potente sviluppo di istanze riparative nei confronti del Sé e della vita (Biondi M., Costantini A., Grassi L., 2009). L‟ascolto della propria corporeità e le tecniche corporee sono un grandissimo ausilio in occasione di correlare alla perdita della salute e a mutilazioni fisiche. Molti autori definiscono il cancro, e in particolare quello alla mammella, come una malattia della rabbia repressa, dell‟insoddisfazione, dell‟infelicità , che caratterizza il vissuto della donna moderna. È necessario, quindi, costruire una nuova relazione col proprio corpo, porsi in una posizione di ascolto nei confronti di quest‟ultimo e delle emozioni che veicola. È il corpo che vibra, che si emoziona, che soffre e che conosciamo nella molteplicità delle esperienze quotidiane (Serrano M., 2001). Se il corpo dell‟individuo è l‟espressione della sua storia, allora la malattia e ogni sintomo ci darà qualcosa su tutta la persona. La malattia, prima di essere il campo di competenza dei medici, è il punto di crisi di una biografia e la sofferenza, correlata alla malattia, ha a che fare con noi e sta dicendo qualcosa su di noi (Galimberti, 1996). Solo ascoltando e comprendendo questa sofferenza e il dolore da cui questa è maturata, potremo allora parlare di „guarigione‟ . Le storie dei malati di cancro sono storie umane dolorose, ciascuna di esse è inquietante, avvincente, e tutte sono accumunate da qualcosa che cambierà per sempre la loro vita : il cancro (Biondi M., Costantini A., Grassi L., 2009).

di Paola Di Donato

 

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