Psicologia ed economia: aspetti in comune

Aspetti psicologici dell’economia

Di Ilaria Polidori

Da quanto detto sinora, appare chiaro che i limiti dell’economia neoclassica, si spiegano lungo due direttrici fondamentali: da un lato, tale limite è rappresentato dal fatto che, nella costruzione dei modelli, si sono ignorati completamente i processi cognitivi che portano l’individuo a compiere delle scelte; dall’altro lato, il problema è costituito dai processi metodologici utilizzati nello studio scientifico dei problemi economici. Per quanto riguarda il primo punto, già Katona (1951)  aveva messo in luce la necessità di integrare le considerazioni economiche con quelle psicologiche sul comportamento umano. Egli, infatti, osserva che le analisi economiche volte a stabilire leggi invariabili, hanno sistematicamente trascurato o semplificato al massimo le variabili psicologiche.

I fatti o i comportamenti che, all’analisi, apparissero in contrasto con queste leggi, non venivano considerati, certi come si era che il tempo avrebbe giocato a favore di un ristabilimento della regolarità prevista dalle leggi economiche (Mistri, Rumiati, 1998).

Katona tuttavia, argomenta che “quantunque l’analisi economica trascuri, in genere, i metodi psicologico-empirici, essa però fa uso di postulati psicologici, partendo spesso dalla premessa che gli uomini si comportino meccanicisticamente…” (Katona, 1951)

Con queste osservazioni, Katona poneva le basi della disciplina che egli stesso chiamò psicologia economica, il cui obiettivo primario era quello di superare i naturali limiti che la scienza economica pura aveva incontrato al momento di uscire dall’universo chiuso e asettico dei modelli che essa teorizzava, per scontrarsi con la più complessa realtà.

Negli ultimi anni questo tipo di disciplina ha fatto passi da gigante, e numerose sono state le scoperte che hanno messo in luce l’esistenza di vere e proprie “illusioni cognitive”, di cui tutti noi siamo vittime al momento di prendere una decisione.

Esse sono meccanismi psichici che agiscono sui singoli, a loro insaputa, e che rendono costoro incapaci di percepire la realtà se non in maniera distorta; ma la cosa più sconcertante è che si è messa in evidenza la sistematicità di tali distorsioni. Cioè, esse si ripresentano sempre simili al riproporsi di circostanze analoghe.

Il fenomeno è dovuto al fatto che, quando prendiamo una decisione, tutti noi, ci affidiamo all’intuizione, o più semplicemente al buon senso, una specie di “colpo d’occhio” mentale, che è però anche la fonte principale dei nostri errori (Piattelli, Palmarini, 1993).

Purtroppo questo fenomeno è ancora molto poco noto, nonostante siano passati ormai una trentina d’anni dalle prime scoperte nel settore: esse sono ancora appannaggio di un’esigua rosa di specialisti.

Eppure la conoscenza di tali processi, ha un potenziale enorme in qualunque settore della vita umana in cui si “prendono decisioni”: nelle borse valori, nelle sale da gioco, nei contratti assicurativi, fino ad arrivare ai meccanismi di manipolazione delle opinioni.

Ora, è lampante come molti esempi di comportamento in contraddizione con le ipotesi di base del modello di scelta razionale, sono dovute alle limitazioni cognitive degli esseri umani in quanto tali: queste ci spingono ad utilizzare metodi semplificativi che riducono la complessità dei problemi, ma a scapito talvolta della coerenza con gli assiomi della scelta razionale.

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Basti pensare a meccanismi frequentissimi, come il calcolo dei costi non recuperabili, o la cosiddetta “legge dei piccoli numeri” (o fallacia del gioco d’azzardo), tanto per citarne due, di cui sicuramente ognuno di noi sarà stato vittima, in un episodio o l’altro della propria vita.

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