psicologo insonnia

Lo psicologo per combattere l’insonnia con la terapia cognitivo comportamentale

Questo articolo sul contributo dello psicologo contro l’insonnia è di Natascia Chiechio.

Il trattamento cognitivo comportamentale dell’insonnia

lavori che richiedono una attenzione tale per cui un eventuale assopimento può essere un pericolo per il paziente o per altre persone. Nella programmazione del sonno, che come si è detto è la parte più prettamente comportamentale dell’intervento, vi sono degli elementi anche cognitivi.

Alcuni studiosi hanno ipotizzato che la restrizione del sonno impedisca alle persone di stare a letto a preoccuparsi del fatto che non dormono, e che il controllo dello stimolo riduca sia l’ansia anticipatoria del sonno che l’attività cognitiva disfunzionale legata al sonno, e faccia sì che gli insonni siano meno preoccupati ed ansiosi rispetto al fatto che non dormono (Lichstein & Fischer 1985; Espie 2002).

Ristrutturazione cognitiva

Se da una parte sono i comportamenti disadattivi che perpetuano l’insonnia, le false credenze e le aspettative irrealistiche sul sonno e sull’insonnia sostengono questi comportamenti. La terapia cognitiva si indirizza proprio a queste credenze erronee e tenta di alterarle.

Il terapeuta fornisce una spiegazione di come i fattori cognitivi possano influenzare l’insonnia, e illustra come l’interpretazione e il giudizio personali di una determinata situazione possano modulare la risposta emotiva.

Vengono identificati pensieri disfunzionali, che rivelano le false credenze sottostanti, e se vi siano pensieri intrusivi notturni. Spesso i temi riguardano convinzioni e atteggiamenti relativi all’assenza di sonno, diurna e notturna, e si è visto come le persone che soffrono di insonnia tendano a riferire pensieri più negativi sul sonno e su altri argomenti quali salute, lavoro e famiglia, sia nel periodo precedente l’addormentamento che durante i risvegli notturni; gli insonni tendono anche a impegnarsi in attività di automonitoraggio, come controllare l’orologio o verificare le propri 
sensazioni corporee, e in comportamenti protettivi, come controllare quanto tempo resta ancora per dormire (Harvey, A. G., 2000a).

Cosa fa lo psicologo per combattere l’insonnia con la terapia cognitivo comportamentale

La sensazione di sfiducia e di non poter avere aiuto è più forte nei pazienti con insonnia rispetto ai buoni dormitori, ed in particolare rispetto alla sensazione di non avere speranze la terapia cognitiva sembra permettere una modificazione importante (Carney, C. E. & Edinger, J. D., 2006). Questo tipo di intervento è di natura verbale, spesso richiede più tempo rispetto alle procedure comportamentali per venire realizzato, ma è un elemento cruciale per un trattamento efficace dell’insonnia.

Dopo aver identificato i pensieri disfunzionali e gli atteggiamenti verso il sonno, il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere la scarsa accuratezza delle proprie idee, a identificare le proprie nozioni maladattive sul sonno, e offre delle interpretazioni alternative a quelle del paziente che perpetuano il disturbo, così che quest’ultimo possa iniziare a pensare alla propria insonnia in un modo diverso, e gli venga rinforzata la sensazione di poter gestire le difficoltà legate al sonno e alle conseguenze diurne.

Gli obiettivi della terapia cognitiva applicata dallo psicologo contro l’insonnia

L’obiettivo di fondo della terapia cognitiva è quello di guidare il paziente nel considerare l’insonnia e le sue conseguenze da una prospettiva più realistica e razionale, e lo si può suddividere in sotto-obiettivi, legati e complementari tra loro. Innanzitutto il trattamento deve contrastare le idee errate sulle cause dell’insonnia. Molti pazienti attribuiscono la loro insonnia a cause scatenanti specifiche o fattori stressanti, come il dolore legato ad una malattia, le allergie, l’età, la depressione o un cambiamento di lavoro, una separazione, un lutto. Il paziente quindi crede che queste condizioni debbano essere risolte prima che passi l’insonnia, e che l’insonnia passerà nel momento in cui l’agente stressante si è attenuato o la persona vi si è adattata.

Sebbene tali fattori siano spesso coinvolti nei disturbi del sonno, attribuire l’insonnia soltanto a queste cause è controproducente, perché il paziente può avere poco controllo su di esse. Se una persona dà questa interpretazione, ovvero che il disturbo è un segno di mancanza di controllo, inizia a monitorare la carenza di sonno e a preoccuparsi delle sue conseguenze, alimentando i 
circolo vizioso dell’insonnia, una reazione a catena che porta a uno stato di ipervigilanza fisiologica ed emotiva.

Come lo psicologo gestisce l’insonnia

La terapia cognitiva è indirizzata alla comprensione del fatto che l’insonnia cronica riguarda sempre fattori sia comportamentali che psicologici, sui quali il paziente può avere un certo controllo.

Va quindi incoraggiato a pensare che sebbene le cause esterne possano avere un ruolo, vi possono essere altri fattori, come una programmazione irregolare del sonno, sonnellini diurni, ecc., che possono influire sul problema e sui quali si può esercitare un certo controllo.

Nel momento in cui il paziente comprende che l’insonnia non è causata solamente da fattori esterni, ma anche interni, diventa possibile sconfiggerli o adattarsi ad essi.

Un ruolo molto importante nel mantenere il disturbo lo hanno le attribuzioni errate riguardo l’insonnia. Per rendere il paziente consapevole dei propri pensieri automatici negativi riguardo all’insonnia è possibile insegnare ad usare gli ABC, registrando quotidianamente i pensieri relativi al sonno e all’insonnia e le emozioni ad essi associate.

I test per misurare l’insonnia: dysfunctional beliefs and attitudes about sleep scale (DBAS)

Per individuare alcune nozioni del paziente sul sonno si può fare anche uso della Disfunctional Beliefs and Attitudes about Sleep Scale (DBAS) (Morin 1994).

Questa scala messa a punto da Morin, indaga la presenza di cinque tipi di atteggiamenti e convinzioni che possono in vario modo favorire l’insonnia, cioè:

  • la tendenza ad amplificare le conseguenze dell’insonnia
  • tendenza al fatalismo e all’impotenza
  • aspettative sulle necessità di sonno
  • teorie erronee sulla natura dell’insonnia
  • fraintendimenti della reale natura del problema e le credenze ingenue o erronee sui rimedi effettivamente utili a combattere l’insonnia.

La tecnica dello psicologo per misurare i pensieri intrusivi nel sonno: il registro del contenuto dei pensieri

Per identificare i pensieri intrusivi si può utilizzare il registro del contenuto dei pensieri (Glasgow Content of Thoughs Inventory, GCTI) (Harvey & Espie 2004), che indaga le riflessioni del paziente prima del sonno. Una volta identificate le attribuzioni errate sull’insonnia, si deve aiutare il paziente a considerarle solo una delle interpretazioni possibili, e trovare insieme a lui delle alternative a questi pensieri disfunzionali. Grazie all’automonitoraggio, inoltre, lo si può aiutare a vedere quanto la reazione emotiva sia diversa aseconda della natura dei pensieri concepiti.

Per fare questo si può ricorrere alla ristrutturazione cognitiva. Un altro problema dei pazienti insonni è l’amplificazione delle conseguenze diurne del disturbo.

Alcuni pazienti possono esperire conseguenze diurne reali dell’insonnia, la paura di queste

Il trattamento cognitivo comportamentale dell’insonnia conseguenze e la preoccupazione rispetto agli effetti sulla salute della perdita di sonno, ingrandisce il resoconto soggettivo di queste conseguenze e amplifica la natura disastrosa dell’insonnia.

Stanchezza, irritabilità ed inefficienza possono essere soggettivamente attribuite ad una notte di sonno scarso, ma in realtà sono piuttosto limitate le misurazioni oggettive della sonnolenza diurna e della mancanza di attenzione vigile nei pazienti.

È importante quindi chiedere al paziente se è possibile che i problemi esperiti durante il giorno siano conseguenza di qualcosa di diverso, ed aiutarlo a vedere come possibile fonte delle sue difficoltà la preoccupazione per fattori altri dalla mancanza di sonno, come il lavoro, le relazioni con altre persone, la famiglia, ecc.

Gli effetti negativi dell’insonnia

I resoconti sugli effetti avversi sono più alti negli individui più soggetti a preoccuparsi, infatti persone con insonnia soggettiva mostrano di più i postumi diurni degli eventi avversi rispetto a quelli con insonnia psicofisiologica, dove vi sono prove oggettive che il sonno è disturbato. La personalità tendente alla preoccupazione di molti pazienti con insonnia soggettiva può essere la causa di questo fenomeno, o può confermare la tendenza dei pazienti con insonnia psicofisiologica verso un iperarousal fisiologico, sia durante il giorno che durante la notte.

Le attività dello psicologo che riducono l’insonnia

Comunque, uno sguardo razionale alle conseguenze oggettive della mancanza di sonno può aiutare i pazienti a riattribuire le presunte conseguenze e vedere che la preoccupazione relativa all’insonnia può essere più dannosa per la loro salute di quanto non lo sia la reale perdita di sonno. In alcune situazioni può essere che il paziente riduca drasticamente il proprio livello di attività diurna a causa della scarsità di sonno e della mancanza di energia. In questi casi è importante sia chiedere al paziente di non attribuire al sonno un valore eccessivo, cercando quindi di mantenere tutti gli impegni di vita normali, a prescindere da come ha dormito, sia verificare i motivi che portano a questa scelta, per vedere se vi siano dei vantaggi secondari, o qualche forma di depressione.

Spingere il paziente a portare avanti le proprie abitudini e attività quotidiane, indipendentemente da come ha trascorso la notte, serve per distrarre l’attenzione dalla carenza di sonno e per far vedere che si può riuscire a fare tutto nonostante una notte di sonno scarso, e che quindi l’efficienza diurna non dipende esclusivamente da quanto si è dormito.

Aspettative irrealistiche verso il sonno

Ogni persona dorme in modo diverso: le persone con insonnia possono focalizzarsi eccessivamente sul raggiungimento di una “normale” durata, insorgenza, o qualità del loro sonno, confrontando le loro abitudini con quelle di amici o di compagni di letto. Sebbene dormire otto ore possa essere il tempo medio di sonno della maggior parte degli adulti, la pressione auto imposta di raggiungere questa durata del sonno può peggiorare le difficoltà di sonno o far sì che persone che hanno un ben definito disturbo del sonno pensino di soffrire di insonnia.

In questi casi una valutazione clinica di base rispetto ai parametri del sonno rivela la severità e la significatività del disturbo del sonno e determina se esso sia patologico o se sia entro le normali fasce.

Per quei pazienti che hanno aspettative irrealistiche, la terapia cognitiva può essere d’aiuto nel cambiare le aspettative rispetto al sonno e riconsiderare l’importanza clinica delle difficoltà nel dormire, mostrando loro che se qualche volta non si sentono completamente riposati, non significa che questo sia patologico o che il sonno della notte precedente fosse disturbato, e verificare anche in questo caso come non sempre il benessere diurno sia legato a notti di maggiore sonno. È importante anche valutare l’ansia da prestazione e impotenza appresa. Per molte persone l’insonnia costituisce una mancanza di controllo, in quanto la variabilità delle modalità del sonno tra una notte e l’altra porta ad una rappresentazione del sonno come imprevedibile e fuori dal proprio controllo.

Il sentimento di impotenza del sonno

Quando il sentimento di impotenza cresce, i pazienti sentono una pressione ancora maggiore rispetto all’addormentarsi, e si crea un senso di ansia da prestazione che può peggiorare la situazione. Le strategie cognitive per risolvere questa situazione possono includere le raccomandazioni paradossali, che aumentano la percezione di avere il controllo da parte del paziente. Nel trattamento paradossale i tentativi controproducenti di dormire sono sostituiti dall’intenzione di rimanere passivamente svegli, o dalla cessazione di qualsiasi sforzo diretto di prendere sonno.

Al paziente viene indicato di:

  • cercare di rimanere sveglio, di tenere gli occhi aperti
  • quando è a letto e al buio
  • “un po’ di più”
  • non cercare di dormire
  • ma congratularsi per essere riuscito a rimanere sveglio
  • e nel caso in cui si preoccupi del fatto che rimane sveglio, ricordarsi che sta seguendo proprio questa istruzione, e che quindi sta facendo la cosa giusta.

Questo dovrebbe portare il paziente a superare la preoccupazione rispetto al sonno, favorendo un atteggiamento meno ansioso rispetto all’essere svegli.

Tutto questo viene fatto perché, quando l’insonnia è imprevedibile e sembra non avere alcuna causa, i pazienti possono cadere in uno stato di impotenza appresa e credere che i farmaci ipnotici sono la sola fonte di prevedibilità o che non ci sarà mai alcun controllo. A questo punto i pazienti iniziano a vedere se stessi come vittime e catastrofizzano il potere, l’effetto e la durata dell’insonnia.

Credenze errate relativamente alle pratiche che promuovono il sonno

Oovvero idee preconcette rispetto alla risoluzione dell’insonnia possono solo peggiorare la situazione.
La tattica controproducente più comunemente messa in atto dalle persone incapaci di dormire è lo stare a letto e insistere nel provare a dormire, o dormire al mattino per compensare il poco sonno, ma possono essere messe in atto altre pratiche, come bere alcool prima di dormire, o cercare di addormentarsi guardando la televisione, che aumentano il disturbo.
La maggior parte delle pratiche erronee sono alterate dalla componente comportamentale della terapia, ma i pazienti hanno anche bisogno di una ristrutturazione cognitiva rispetto al modo in cui pensano alla promozione del sonno. In generale si è visto come la terapia cognitiva per
l’insonnia aiuti a cambiare le idee di fondo che perpetuano il problema dell’insonnia, e come le persone con insonnia dovrebbero imparare sei strategie cognitive di base:

  1. avere aspettative realistiche,
  2. non incolpare l’insonnia per tutti i problemi,
  3. evitare di provare a dormire,
  4. non dare troppa importanza al sonno,
  5. non catastrofizzare dopo una notte di
  6. sviluppare tolleranza verso gli effetti dell’insonnia.

 

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