Il ruolo del padre durante la rivoluzione francese
Il Settecento è un secolo di grandi rivoluzioni. Rivoluzioni avvenute nel senso letterale del termine, come la Rivoluzione francese (1789-1799) e la Rivoluzione Industriale (1780-1830) , ma anche nel senso metaforico di importanti novità e cambiamenti. In questi anni il padre mostra una trasformazione come non si vedeva da moltissimo tempo: forse, per la prima volta nella storia, la sua autorità vacilla e i suoi connotati psicologici e morali cambiano sensibilmente[1].
Il punto di vista di Balzac sulla figura del Padre
Honoré de Balzac (1799-1850) , noto scrittore, giornalista e principale maestro del romanzo realista della sua epoca, scrisse: <<La Rivoluzione ha tagliato la testa a tutti i padri di famiglia. Non ci sono più che individui>>[2]. Il cambiamento del rapporto fra padre e figlio durante l’Illuminismo procede su due piani che si influenzano reciprocamente. Da una parte il cambiamento è tipo politico poiché mutano le norme che riguardano il padre e la famiglia; dall’altra il rinnovamento politico è influenzato dai sentimenti privati e cioè ognuno associa l’autorità, e soprattutto il re ,alla propria immagine di padre. Anche per i due grandi maestri ,
Il punto di vista di Voltaire e Rousseau sulla figura del Padre
Voltaire e Rousseau, che segnano l’Illuminismo francese e accompagnano la Francia verso la Rivoluzione, il rapporto con i propri padri fu decisivo. L’influsso di Voltaire e Rousseau si esercitò in numerosi ambiti e contribuì a definire una nuova pedagogia e un nuovo padre. Voltaire combatté con tutte le sue forze il padre cercando di disconoscerlo. Da sempre il dono del padre era il riconoscimento pubblico del figlio; l’alternativa era il disconoscimento , un diritto che comunque spettava solo al padre. Voltaire sostiene che se il riconoscimento e il disconoscimento è scelta, esso può venire anche dal figlio. In questo spirito si ribellò ala padre. Quasi due secoli prima di Freud e come sua prima opera (1714) , Voltaire mise in scena il dramma di Edipo. Un Edipo maledetto ma eroico e sostanzialmente innocente. Fu un annuncio dei tempi nuovi[3]. Anche se la biografia di Rousseau ruota anch’essa intorno al padre il rapporto fra padre e figlio qui descritto è completamente diverso. La madre di Rousseau perse la vita mettendolo alla luce e il padre diede al figlio affetto e gli trasmise la passione per la lettura. Isaac, il padre, riviveva nel figlio il forte affetto per la donna che lui aveva tanto amato. Fra l’uomo e il piccolo si instaurò un rapporto molto stretto. Tuttavia una volta divenuto adulto Rousseau, senza rancore, mosse qualche critica al padre che nel frattempo si risposò con un’altra donna facendo una nuova famiglia. Rousseau nota che ,quando andava a trovare il padre nella sua nuova casa, riceveva dal padre le stesse carezze ricevute nell’infanzia, ma queste carezza erano ora vuote di sforzi apprezzabili ,da parte del padre, per trattenerlo lì con lui[4]. Quando venne pubblicato l’Émile (1762) , opera che racchiude i principi fondamentali del pensiero di Rousseau, si arriva a quell’epoca in cui è giunta l’ora di prendere le distanze dall’autorità paterna. La storia dell’educazione del giovinetto Emilio non è solo un romanzo pedagogico, ma è anche un saggio filosofico che ha come base i principi rousseauiani secondo cui l’uomo nasce buono e libero e sono le istituzioni sociali a renderlo cattivo.
L’Emile di Rousseau e la figura del padre
Questo saggio racchiude la formazione intera dell’essere umano: il padre greco era forte nella società e nel mito ma spesso assente nell’educazione del figlio, che veniva spesso affidata a un precettore; il padre romano era forte anche nella famiglia poiché ricopriva anche il ruolo di educatore dei figli; di colpo Rousseau fa un salto all’indietro: Il piccolo Emilio riceve da un estraneo ,come nell’antica Grecia, l’educazione di cui doveva essere il nuovo paradigma. E’ chiaro perciò, che l’assolutismo del padre in casa e quello del re nello stato dovevano scomparire entrambi e contemporaneamente. In seguito vedremo che la creazione del sistema scolastico ,nelle generazioni seguenti, tradurrà questa intuizione narrativa di Rousseau[5]. Il visconte François-René de Chateaubriand ,scrittore e diplomatico francese, sostenne che l’educazione, in seguito alla pubblicazione dell’Emilio, cambiò radicalmente in Francia e chi cambia l’educazione cambia anche gli uomini[6].
Il ruolo del padre nella rivoluzione francese
Sono dunque la Rivoluzione francese e le campagne militari di Napoleone a segnare, l’inizio di una nuova epoca, il cui segno distintivo è l’individualismo. Le sue basi sono giuridiche e derivano dal Codice civile di Napoleone (1804). La nuova famiglia di tipo napoleonico si configura come “una costellazione” di persone che, mediante il divorzio e con l’emancipazione che segue di diritto alla maggiore età, possono volgere ciascuna verso un proprio destino. Il Codice napoleonico inoltre introduce il matrimonio civile e contiene norme sulla paternità, riducendo inizialmente il potere del pater familias[7]. Nella Rivoluzione, la patria potestà era stata vista come una limitazione della libertà dei figli, sottomessi al soffocante potere del padre, ed il testamento come strumento di ricatto effettuato dal padre per tenere a freno i figli indocili: il figlio indocile rappresentava “l’enfant” della rivoluzione, mentre il padre il nemico di essa. La stessa rivoluzione aveva abbattuto i privilegi dei figli maschi rispetto alle femmine, del primogenito rispetto ai cadetti, dei figli legittimi rispetto a quelli naturali[8]. Ma nel codice del 1804, pur essendo rimaste delle disposizioni rivoluzionarie,
Napoleone realizza una rigorosa restaurazione della patria potestà, vista come tramite d’autorità fra società ed individuo. Anche il testamento rinasce, al padre è infatti riconosciuta dal codice la facoltà di disporre di una parte del proprio patrimonio e riacquisisce in questo modo anche il potere di premiare il figlio virtuoso. L’arretramento rispetto alla Rivoluzione si manifesta anche su altri fronti. Per difendere la famiglia legittima si riapre la disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali[9].
Anche la Rivoluzione industriale contribuì ,con l’avvento dei nuovi mestieri e la produzione di benessere, a mutare per sempre il padre e i rapporti familiari. Prima della Rivoluzione, in molti paesi, i contadini superavano il novanta per cento della popolazione[10]. Quindi, nella maggioranza dei casi, il mestiere del padre era sotto gli occhi dei figli. Inoltre in campagna ,essendo il lavoro molto duro, si richiedeva molta dedizione permettendo pochi svaghi a chi lavorava. Gran parte del tempo libero lo si trascorreva in famiglia ascoltando i racconti dei genitori e dei nonni[11]. La famiglia era il fulcro delle interazioni sociali e l’ambiente privilegiato in cui i figli crescevano. In particolare i figli maschi , dopo aver trascorso un periodo attaccati alla madre, seguivano il padre che veniva acquisito dai figli come unico modello da imitare, non avendo quasi mai valide alternative, e ciò contribuiva alla identificazione dei figli con il genere maschile. Una volta adulti i figli erano in grado di svolgere anche un mestiere , quello del padre[12]. Anche se la vita contadina risultava piuttosto povera rendeva la famiglia comunque autosufficiente , perciò seguire il mestiere del padre garantiva ai ragazzi ,anche se magra , una sicurezza economica e psicologica importante, e questa sicurezza era, in buona parte, la conseguenza della mancanza di alternative. La Rivoluzione industriale distrugge quindi questa stabilità. Con la creazione dell’alternativa e in particolar modo di nuovi mestieri e un nuovo stile di vita, la Rivoluzione sconvolge i rapporti sociali e stravolge i rapporti familiari ponendoli in una situazione di forte instabilità, le campagne si svuotano e l’urbanizzazione si fa travolgente. Le condizioni di lavoro sono estenuanti e la bramosia di ricchezza coinvolge nel lavoro anche le donne e i bambini[13]. Questa nuova realtà economica, sociale e psicologica sbriciola la convivenza familiare e spoglia il padre della sua autorità e della sua funzione educativa mettendoli invece nella mani di una gerarchia esterna. Per la prima volta i suoi guadagni possono risultare inferiori a quelli dei suoi familiari e per questo perde sovranità e dignità. Saranno le prime forme di tutela della manodopera della vita operaia a restituire agli uomini il dominio negli ambienti di lavoro e il reddito torna a concentrarsi nelle mani del padre. Per i padri comincerà però una sorta di esilio nelle officine dove essi saranno costretti a svolgere compiti limitati e ripetitivi. I padri smarriscono la professionalità e quindi l’orgoglio per il proprio lavoro . Questo orgoglio era in precedenza dato anche dalla possibilità di godere dei frutti di tanta fatica mentre ora lavorando per un padrone il prodotto non gli appartiene più e spesso neppure lo vedono. Il padre diviene estraneo alla vita famigliare e all’educazione dei figli che non hanno più il mestiere del padre sotto gli occhi ma non hanno più nemmeno a disposizione il loro modello da seguire. Il figlio dell’era industriale non vede più l’adulto come capofamiglia ed addirittura lo vede così poco da diventare per lui quasi un estraneo. In seguito, con immani sforzi, la famiglia si riunirà fisicamente ma la psicologia senza tempo della famiglia contadina è strappata per sempre[14].
[1] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore,Roma,2010
[2] Ibidem
[3] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000
[4] Maurizio Quilici, Storia della Paternità, Fazi Editore,Roma,2010, p. 371
[5] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000
[6] Ivi, p. 372
[7] Ibidem
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] Ibidem
[11] Ibidem
[12] Ibidem
[13] Ibidem
[14] Luigi Zoja, Il gesto di Ettore, Bollati Boringhieri,Torino,2000,
Scrivi a Igor Vitale