Il ruolo della personalità nel mobbing

Quali ruoli assumono le persone in un’azione di mobbing?

Aspetti di personalità di Mobber e mobbizzato

 

Antonella Matichecchia

Le dinamiche, le azioni, i contenuti del mobbing possono presentarsi con le modalità più diversificate, ma il copione di fondo e gli attori in scena sono riconducibili a poche tipologie generalizzabili. I canoni della “recita mobbing” prevedono i seguenti personaggi:
– il o i registi;
– i gregari istigatori;
– il o i mobbizzati;
– gli omertosi plaudenti;
– gli omertosi indignati.

Solitamente in scena si muovono gli attori che innescano e sostengono il processo di mobbing ( mobber ), quelli che lo subiscono ( mobbizzati ) e coloro che assistono con apparente bassa implicazione (gli spettatori). Al loro interno i mobber si possono dividere in registi, più o meno occulti, e in gregari istigatori.

Gli spettatori al loro interno si dividono tra quelli che, in silenzio e omertà, assistono condividendo il processo e quelli, in altrettanta omertà, che lo ritengono riprovevole ma non hanno la forza di denunciarlo.

L’obiettivo è quello di guadagnare un pluspotere diretto, giocato nei confronti dei mobbizzati e un pluspotere d’influenza indiretta rispetto agli spettatori. Le cause maggiori che possono favorire i processi di mobbing sono da ascrivere ai profili di personalità degli attori coinvolti e altre condizioni organizzative.

Per quanto riguarda gli aspetti di personalità, si può ribadire che sono più indotti a instaurare fenomeni di mobbing gli individui che privilegiano relazioni improntate alla verticalità gerarchica, rispetto a individui che mostrano attitudini improntate a orizzontalità negoziale. Le personalità che privilegiano il copione orizzontale, immesse in un ambiente poco strutturato, tendono ad instaurare ordine e trasparenza in termini di definizioni di regole del gioco organizzative,al fine di minimizzare le soggettività interpretative e distorsive; premiando quelle contributive verso i risultati.

Tali individui difficilmente instaurano dinamiche di mobbing; essi possono più facilmente esporsi al ruolo di vittime designate proprio perché tendono a sottostimare i legami gerarchici e a privilegiare i significati professionali. Una personalità forte e verticale tenderà a fare il regista dei processi di mobbing, le personalità verticali relativamente più deboli potranno interpretare il ruolo dei gregari istigatori o degli spettatori omertosi.

Le personalità orizzontali più deboli rischiano il ruolo delle vittime predestinate o quello degli spettatori omertosamente indignati. Le personalità orizzontali forti, insediate in ruoli organizzativi di comando, sono portate a favorire contesti di confronto negoziale trasparente caratterizzato da solidi ancoraggi oggettivi e professionali (Vaccani, 2007).

Soggetti colpiti (bersagli).
Ogni lavoratore, indipendentemente dalle caratteristiche della propria personalità e del proprio carattere, può essere oggetto di molestie morali. Tuttavia, oltre alla soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica, alcune caratteristiche personologiche o situazionali possono favorirne l’insorgenza o la diffusione. Sono potenziali bersagli soprattutto:

– lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività svolta, o con capacità innovative o creative;
– soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap;
– “diversi” sotto vari punti di vista e tratti socio-culturali ( provenienza geografica, etnia, religione, sesso, ecc … );
– lavoratori rimasti estranei a pratiche illecite di colleghi.

È possibile rilevare tre condizioni:
-il soggetto bersaglio era in precedenza un individuo in soddisfacente equilibrio psicofisico;
– il soggetto bersaglio aveva già in precedenza una personalità con disturbi comportamentali compensati;
– il soggetto bersaglio era in precedenza una persona portatrice di disturbi comportamentali conclamati.

La condizione di preesistenza di disturbi neuro comportamentali non esclude l’esistenza di un nesso eziologico tra ambiente di lavoro e patologia psichiatrica derivata. Al contrario, occorre verificare da un punto di vista medico-legale che esista un nesso di causalità tra ambiente lavorativo e il peggioramento di un quadro clinico del soggetto, evidenziando eventuali ulteriori fattori eziopatogenici (Gilioli et al, 2000).

La guerra sul lavoro consta di tre elementi ( Ege, 2002 ):
– il ruolo dell’emotività e della soggettività, la presenza della carica emotiva all’interno di un conflitto generalmente rendono il clima organizzativo avvelenato ed irrespirabile e contribuiscono ad allontanare la soluzione. Se si lascia entrare in discussione la carica emotiva, il conflitto proseguirà all’infinito spostandosi sempre su nuovi campi e toccando sempre nuovi tasti fino ad evolversi probabilmente, nel Mobbing. Nella guerra sul lavoro l’emotività e la soggettività giocano dalla parte del mobber; egli ama provocare la sua vittima perché facilmente otterrà reazioni scomposte ed esagerate e quindi facilmente punibili. L’emotività dà sicurezza e aumenta il coraggio e la determinazione a compiere azioni anche estreme; se il mobber si è posto un obiettivo per lui fondamentale, è naturale che investa una forte carica emotiva nel raggiungerlo.

Azioni mobbizzanti, si tratta degli attacchi e delle strategie ostili che il mobber mette in atto contro la vittima e che incarnano il suo obiettivo conflittuale

Motivazione del mobber, la ragione per cui il mobber porta avanti il suo attacco è quello che può essere definito il suo scopo politico. Lo scopo politico è il punto centrale del mobbing da cui dipendono gli altri due elementi fondamentali, ossia il ruolo dell’emotività e della soggettività e le azioni mobbizzanti; senza una motivazione, ovvero uno scopo politico, nessun conflitto può durare a lungo. Perché ci sia Mobbing, il conflitto deve attestarsi con una certa durata e una certa frequenza e ciò può avvenire soltanto se il mobber ha uno scopo preciso e prosegue la sua azione finché non l’ha raggiunto. Si tratta di tre caratteristiche intrinsecamente legate al mobber.

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