Il Significato Segreto dei Gesti in Comunicazione Non Verbale

 

Negli anni 50 del ‘900 l’antropologo americano Ray Birdwhistell coniò il termine “cinesica”- dal greco kinesis, cioè movimento – per definire la comunicazione che avviene mediante la gestualità e la mimica.

Gli esempi di cinesica più noti sono i gesti tuttavia appartengono a questa categoria anche i movimenti degli occhi, del naso, della bocca, del collo, del tronco, dei piedi, delle dita.

Una parte considerevole di tali movimenti sono involontari e legati all’emozione provata; altri accompagnano, sostituiscono o completano il discorso.

Gli studiosi Paul Ekman e Wallace Friesen hanno suddiviso la cinesica in cinque categorie:

1) Gesti illustratori

La prima categoria concerne i gesti illustratori che accompagnano il discorso e servono a illustrare ciò che viene detto per confermarne o rinforzarne il contenuto.

Gli illustratori, inoltre, sono utilizzati quando il messaggio è difficile da descrivere con le parole. Per esempio è più complesso definire a parole che qualcosa è a zig-zag invece è facile mostrarlo con un movimento della mano.

2) Gesti simbolici o emblemi

Gli emblemi sono gesti che hanno una diretta traduzione verbale con un preciso significato che è conosciuto e condiviso dai membri, di un gruppo o di una cultura. Occorre, tuttavia, sottolineare che un medesimo gesto può assumere significati diversi presso gruppi e/o culture diversi.

Per esempio il gesto emblematico quasi universale dell’”OK”, a Malta, invece, è esibito quando s’intende comunicare che qualcuno è omosessuale con intento offensivo.

gesto emblematico

IMMAGINE 2. Tratta dall’articolo di Paul Ekman, Movements with Precise Meanings,  1976.)

 

3) Gesti indicatori dello stato emotivo o Affect-display

Essi comprendono espressioni facciali, gesti degli arti, posture e movimenti associati alle emozioni primarie (felicità, tristezza, paura, collera, disgusto, sorpresa).

Numerose ricerche hanno dimostrato che le espressioni facciali comunicano in modo efficace le emozioni provate da una persona in un dato momento; mentre i movimenti del corpo indicano l’intensità dell’emozione.

Inoltre è più semplice controllare un’espressione del viso, di conseguenza essa non è sempre una fonte attendibile, invece, è molto più complesso controllare gli affect-display corporei che rivelano le reali intenzioni dell’interlocutore.

 

4) Gesti di adattamento

Sono gesti che rivelano lo stato d’animo delle persone e sono difficile da controllare volontariamente.

Alcuni adattatori sono appresi mediante l’esperienza personale, per questo motivo i significati correlati sono idiosincratici, cioè estremamente personali.

I gesti di adattamento si possono distinguere in tre sottocategorie:

  • i gesti “autoadattatori” à sono movimenti diretti sul proprio corpo, come accarezzarsi oppure toccarsi il volto.
  • i gesti “eteroadattatori”à sono gesti eterodiretti, cioè indirizzati verso un’altra persona e comprendono i cambiamenti di postura e di movimenti.
  • i gesti “oggetto-adattatori”à sono gesti prodotti su oggetti vicini, per esempio mordicchiare la matita, togliersi gli occhiali o giocherellare con bracciali e collane.

Gesti regolatori

Sono atti che si compiono per regolare le funzioni del dialogo tra parlante e ascoltatore e che, al contempo, indicano le nostre intenzioni.

Rientrano in questo gruppo gesti come annuire, il contatto oculare e i cambiamenti nella posizione del corpo.Oltre a queste categorie di gesti ne esistono altre. Nella comprensione della comunicazione non verbale rivestono particolare importanza i seguenti gesti:

Gesti volontari e involontari

I gesti volontari sono eseguiti in modo consapevole. I gesti involontari, invece, sono estranei al nostro controllo razionale.

Gesti di apertura e di chiusura

Sono gesti che segnalano se l’interlocutore è a proprio agio oppure no.

Una persona aperta, disponibile, si dimostra ben disposta, tranquilla e attenta e il suo linguaggio del corpo, non manifesta ostacoli di carattere fisico o psicologico. Le mani sono generalmente in vista, con i palmi aperti che denotano sottomissione, inoltre le gambe e la postura sono prive di tensione nervosa e inoltre vi è un buon contatto oculare.

Una persona chiusa, invece, ritenendosi esposta a qualche forma di minaccia tende a far apparire il corpo più piccolo e a proteggersi erigendo barriere difensive.

Gli arti s’avvicinano al corpo e s’incrociano le braccia e/o le gambe. Inoltre è presente uno scarso contatto oculare e tensione nelle spalle.

Gesti e Attività dislocate

Tale definizione si riferisce ad azioni che si compiono in modo inconsapevole al fine di allontanare l’ansia e il nervosismo e in situazioni di conflitto interiore o di frustrazione.

In taluni casi le attività dislocate sono costituite da movimenti fugaci e quasi impercettibili, tuttavia, risultano estremamente rivelatrici, infatti, corrispondono a “fughe di informazioni” sul nostro reale stato emotivo.

Ogni persona possiede il proprio repertorio di attività dislocate cui ricorre per superare alcune situazioni di conflitto o tensione nervosa.
Per esempio: masticare una gomma, mangiare, mordicchiarsi le unghie, tenere la sigaretta tra le labbra.

Le attività dislocate, inoltre, possono essere dirette verso l’esterno o verso l’interno (gesti di autoconforto).

Le prime comprendono per esempio: giocherellare con gli indumenti o con oggetti come penne, occhiali, un anello.

 

Gesti di autoconforto

Essi sono attività dislocate che l’individuo rivolge verso se stesso per, appunto, trovare conforto in una situazione di conflitto interiore.

I principali gesti di autoconforto sono:

▪ Afferrarsi le mani               

La persona, mentre parla, si afferra la mano sinistra con            quella destra o viceversa, reprimendo in tal modo un atteggiamento negativo che non può esibire. Se l’individuo è seduto al tavolo può ricorrere fondamentalmente a due posizioni delle mani intrecciate: la prima consiste nel tenere i gomiti appoggiati al tavolo e le mani intrecciate davanti al volto, la seconda nel tenere la mani appoggiate sul piano o in grembo.

La ricerca ha evidenziato che la posizione più alta delle mani corrisponde a una maggiore tensione negativa.

Talvolta si può notare che alcune persone in posizione eretta si afferrano le mani all’altezza dell’inguine. Si tratta di un gesto che denota nervosismo e crea una barriera protettiva del corpo in quanto tale postura, esponendo l’intero corpo, rende vulnerabili.

▪ Mani dietro alla schiena

La persona si afferra una mano con l’altra dietro la schiena. Tale gesto comunica che l’individuo che lo compie è sicuro di sé in quanto espone la parte anteriore e vulnerabile del corpo.

Tale postura si osserva solitamente in poliziotti, militari, docenti universitari e, in generale, in persone sicure delle proprie capacità.

Occorre, tuttavia, sottolineare che se la mano dietro la schiena non afferra l’altra mano bensì il polso, la persona che compie tale gesto è infastidita, frustrata o nervosa. La mano, infatti, sembra quasi trattenere il polso per evitare un gesto aggressivo. Più in alto è effettuata la presa, maggiore è l’emozione di rabbia o frustrazione provata dal soggetto in questione.

 

▪ Gesti mano-viso              

Le persone tendono a compiere gesti di autoconforto che implicano il contatto della mano con il viso, la testa o i capelli. Si tende, pertanto, a toccare le zone del corpo che forniscono conforto nel bambino piccolo e in situazioni di disagio o tensione si ricorre agli stessi metodi che utilizzavano i genitori per consolarci quando eravamo piccoli.

Un tipico gesto di autoconforto in momenti d’ansia è quello di portarsi una mano al collo oppure – più comune negli uomini – massaggiarsi la nuca.

In base a tali gesti, inoltre, è possibile capire se una persona è annoiata o no.

Solitamente l’individuo sostiene l’intera mandibola con il gomito appoggiato al tavolo e quanto più la mano è visibile, tanto più la persona è annoiata o disinteressata.

È, tuttavia, importante sottolineare il fatto che la noia e il disinteresse insorgono gradualmente e a volte, in base alla posizione della mano sulla guancia, il gesto può indicare, invece, che l’ascoltatore intensifica l’attenzione.

Per un’adeguata interpretazione occorre osservare l’espressione degli occhi. Se sono rivolti verso il basso, mezzi chiusi o persi nel vuoto si è quasi certi che occorre modificare l’approccio per risvegliare l’attenzione.

 

Piedi e gambe

Gli studiosi Ekman e Friesen hanno scoperto che le gambe e soprattutto i piedi, nonostante rispondano al controllo volontario, sono in realtà meno controllabili poiché sono più lontani dal cervello.

Nel corso di una conversazione, infatti, se siamo in posizione eretta possiamo avere inizialmente i piedi orientati verso l’altro, tuttavia, in seguito essi vengono rivolti altrove o verso l’uscita.

Questo significa che non si desidera restare e che non si è stabilita una buona intesa.

È importante osservare la direzione dei piedi anche quando si è seduti, infatti, se uno o entrambi i piedi sono orientati altrove significa che l’interlocutore è a disagio.

Anche le gambe sono estremamente rivelatrici, soprattutto se le posizioni che assumono sono interpretate nell’ambito di un complesso gestuale.

Le gambe accavallate, infatti, non possono essere considerate rivelatrici di disagio se sono prese nella loro singolarità, bensì soltanto se tale posizione è accompagnata, per esempio, da quella delle braccia incrociate.

di Valentina Anna Guzzetta

Corso Comunicazione Non Verbale

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