teorie delle emozioni psicologia

Teorie delle emozioni psicologia

La psicologia delle emozioni secondo Tomkins

Tra i vari studi condotti sulle emozioni ricordiamo quelli di Tomkins (1962) il quale classificò le emozioni in otto categorie: interesse/eccitazione, godimento/gioia, sorpresa/trasalimento, disagio/angustia, paura/terrore, vergogna/umiliazione, disprezzo/disgusto e ira/rabbia.

La teoria delle emozioni di Johnson Laird

Un altro modello fu quello elaborato da Johnson Laird (1984) e Oatley (1997) che considera cinque emozioni fondamentali: gioia, tristezza, paura, rabbia, disgusto. Vengono poi individuate le emozioni secondarie che dipendono dalla circostanza in cui si sviluppa l’emozione primaria.

Il modello di Ekman delle – teorie delle emozioni (psicologia)

Ekman (1992) distingue sei emozioni (rabbia, paura, tristezza, gioia, disgusto e sorpresa) che derivano da nove caratteristiche biologiche e filogenetiche.

Secondo Carlson (1992) le emozioni sono sentimenti soggettivi, per Arnlod Gesell (1969) le emozioni riflettono le esperienze di vita e la maturità dell’individuo.

Altri autori come James (1984), Cannon (1927), osservano le emozioni in relazione ai cambiamenti fisiologici, biologici e cognitivi.

Goleman (1995) sviluppa il concetto di intelligenza emotiva spiegando che emozioni ed intelletto incidono sulle nostre azioni.

L’intelligenza emozionale è priva di riflessione a differenza dell’intelligenza razionale ma consente intuizione immediata e azione rapida: fattori necessari ad affrontare situazioni che richiedono rapida risoluzione.

Le emozioni modificano il nostro corpo

Le emozioni provocano risposte fisiologiche e biologiche differenti.

Il sistema limbico (amigdala, ippocampo, corpi mammillari nuclei talamici anteriori e giro cingolato) è fortemente implicato nel controllo del comportamento emotivo (Papez 1937). Ad esempio la collera incrementa adrenalina, battito cardiaco ed energia.

La paura prepara l’organismo alla fuga apportando un maggiore afflusso sanguigno ai muscoli scheletrici e attivando nel soggetto uno stato di allerta.

Emozioni come l’amore invece attivano il sistema parasimpatico e quindi generano calma e soddisfazione.

La tristezza permette l’elaborazione di una perdita facendoci adeguare al cambiamento che ne scaturisce quindi oltre ad iniziali sentimenti depressivi che comprendono anche un rallentamento metabolico induce all’attivazione cognitiva sviluppando nuove energie.

Queste sono alcune delle emozioni che affiorano quotidianamente nella vita di un individuo influenzando lo stato psicologico, comportamentale e percettivo e che possono incidere nella strutturazione della personalità (Fogliani T., 2003).

Che cos’è l’empatia

Il termine empatia deriva dal greco e il suo significato è passione ed affetto.

L’empatia è definita come “un fenomeno per cui un individuo si pone nella situazione di un altro fino ad identificarsi con lui” ( Fogliani, 2003).

Essa implica che ci si senta nell’oggetto e che, contemporaneamente, si rimanga consapevoli della propria identità come un’altra persona. Inoltre non snatura la pienezza dell’identità cervello-mente-corpo dei soggetti, rappresentando inoltre un’intersoggettività conscia tra due soggetti (Fogliani, 2003).

Lipps e Allport spiegarono come l’empatia viene comunicata attraverso il linguaggio corporeo: posture, espressioni del volto, gesti e atteggiamenti.

La Stein definì l’empatia in termini di altruismo.

Altri autori come Freud, Strasser (1950), Rogers (1940) definirono l’empatia come un processo cognitivo e comunicativo fondamentale nelle relazioni d’aiuto che facilita i rapporti interpersonali per cui si pone particolare attenzione al concetto di empatia nella relazione terapeutica.

Secondo Husserl (1913) l’empatia permette comunicazione, facilitando la convivenza e la condivisione tra i soggetti.

Scaglia spiega invece che l’empatia abbraccia anche comprensione e attrazione verso l’altro, mentre Ardigò analizza il concetto di datità ovvero la comprensione dell’esistenza dell’altro che scinde da noi.

A cosa serve l’empatia

È possibile condividere l’esperienza dell’altro ma non l’originarietà con cui esso vive il suo dolore o la sua gioia. (Stein, 1917).

Il processo empatico contribuisce nello sviluppo della propria personalità in quanto è conoscendo l’altro che arricchisco la conoscenza del mio sé.

Riguardo alla nascita dell’empatia si distinguono due posizioni: una innata fisiologica e l’altra ambientale e sociale. Pertanto, prestando attenzione alle varie fasi di crescita dell’individuo, emerge che la prima componente dell’empatia consiste nell’abilità di qualificare e discriminare lo stato emozionale altrui, la seconda componente consiste nell’empatizzare con un’altra persona, la terza componente è la capacità di sperimentare l’emozione altrui.

La capacità empatica cambia a seconda del vissuto e della fase evolutiva del soggetto, per cui l’empatia nell’infanzia sarà differente dall’empatia dell’adolescente e dell’età adulta ed è il risultato di apprendimento, di esperienze, interazione sociale e socializzazione.

Una sana relazione empatica è fondamentale all’interno della famiglia: nel rapporto genitore e figlio è un elemento essenziale in quanto consente, sin dalle prime fasi di vita, di sentirsi riconosciuto e accettato. La carenza empatica si manifesta attraverso comportamenti violenti, aggressivi, criminali e antisociali. E’ possibile compensare la carenza empatica attraverso un’educazione che coinvolga non solo il soggetto ma anche la famiglia e l’intero contesto sociale in cui l’individuo cresce (Fogliani T., 2003).

Questo articolo sulle teorie delle emozioni è di Daniela Moschetto.

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