Teorie dell’invecchiamento in psicologia

All’inizio di questo capitolo ho brevemente accennato al contributo della psicologia dell’arco di vita, di cui uno dei massimi esponenti è E.H.Erikson; varie però sono state le teorie che l’hanno preceduta: la Teoria del Disimpegno, la Teoria dell’Attività e la Teoria della Continuità.

Nella Teoria del Disimpegno elaborata da Cumming e Henry nel 1961, l’invecchiamento viene descritto come un periodo della vita, in cui il soggetto sente la necessità di un ritiro sul piano fisico, psicologico e sociale; l’individuo manifesta una graduale perdita d’interesse per la vita sociale e si chiude in un suo mondo interno (Cumming & Henry, 1961).

La teoria del disimpegno è stata ampliamente criticata proprio per la sua pericolosità sociale, “in quanto giustificherebbe un processo d’abbandono e influenzerebbe l’isolamento sociale” (Chattat, 2004, p. 27).

La Teoria dell’Attività, elaborata da Havighurst presuppone che l’invecchiamento sia caratterizzato dalla capacità dell’individuo di mantenere quelle attività legate ai vecchi e ai nuovi ruoli.

Il concetto di “invecchiare bene” proposto dalla teoria dell’attività, comporta che l’anziano si mantenga operoso sino in tarda età, perché è attraverso l’attività che gli individui si sentiranno efficienti e socialmente validi senza che si manifesti quel senso d’inutilità, quella mancanza di speranze e quella depressione che affligge alcuni di loro (Havighurst & Taba 1949).

La Teoria della Continuità elaborata da Atchley, ritiene che sia essenziale che l’anziano non viva una rottura con le attività, interne alla famiglia, lavorative e sociali, a cui era abituato durante l’età matura”(Atchley, 1989; Manucci & Curto, 2003, p. 135; Bordogna, 2007, p. 94).  Questa teoria è stata criticata, perché non prende in considerazione la presenza di patologie fisiche, che si associano alla vecchiaia e non tiene conto neanche della presenza di quegli eventi negativi come la solitudine o la paura della morte connessi a tale periodo.

È la presenza o meno di alcune patologie che differenzia l’invecchiamento primario dall’invecchiamento secondario.

Con il primo termine intendiamo: perdita di velocità nell’elaborare l’informazione, nella risposta d’azione, nel rallentamento delle abilità visuo-spaziali (intelligenza fluida), nell’arricchimento di certe competenze verbali con l’età (l’intelligenza cristallizzata), e nella stabilità di certi tratti della personalità” (Laicardi & Pezzuti, 2000, p. 28).

L’invecchiamento secondario si presenta quando, al quadro dell’invecchiamento primario, si aggiungono alcune malattie croniche o meno (Baroni, 2003).

È stato poi riscontrato anche un invecchiamento terziario connesso al declino terminale, caratterizzato da perdita delle abilità mentali e fisiche; può assumere diverse forme a seconda che questa o quella funzione si deteriori prima delle altre, e questo avviene a volte attraverso un processo continuo, altre volte invece, si manifesta con un calo improvviso delle prestazioni fisiche e cognitive, che segnala l’avvicinarsi alla morte (Wolinsky, Bentler, Hockenberry, et al., 2011).

di Ilaria Giardini

 

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