Come si sviluppa lo stress nei gruppi: la metafora della bilancia dello stress

di Maria Gloria Luciani

Abbiamo appreso come il gruppo sia una dimensione in cui il mantenimento di una certa stabilità interna e la ristrutturazione di equilibri psichici siano di fondamentale importanza per l’ efficacia e la continuità del gruppo nel tempo.

L’equilibrio è quindi la parola chiave nel contesto gruppale sia per la sua funzione terapeutica che come obiettivo negli incontri gruppali. Ponendo lo stato di equilibrio in un continuum con lo stato di stress troveremo quest’ ultimo sul fronte opposto, intendendo lo stress come uno sbilanciamento tra le risorse (interne o esterne) e le richieste (interne o esterne) del soggetto e quindi come un disequilibrio percepito soggettivamente a livello psicofisico.

Lo stress viene definito da Lazarus e Folkman come una particolare relazione tra la persona e l’ambiente che è valutata dalla persona come onerosa o eccedente le sue risorse e che minaccia il suo benessere (Lazarus, Foulkman, 1984).
L’ ambiente a cui fanno riferimento questi due autori è la realtà in cui la persona vive quindi può essere coinvolto l’ambiente familiare, quello lavorativo o la società in genere costituita e gestita da gruppi in cui il soggetto svolge un ruolo direttamente o indirettamente attivo. Conseguentemente il concetto di stress collega i gruppi di appartenenza dell’individuo e quelli terapeutici in quanto i disequilibri creati dalle dinamiche dei primi verranno alla luce nei secondi perché proprio in questi si ricrea un ambiente sistemico in cui l’individuo può ritrovare e attualizzare, tramite il transfert, il rispecchiamento ed altri meccanismi le stesse problematiche che ha nella quotidianità.
Ecco perché “la bilancia dello stress” può essere utilizzata come strumento di analisi degli equilibri psichici e come aiuto per ristabilirli.

Esatto era il pensiero di Epitteto, filosofo del I sec. d.C secondo cui noi non reagiamo alle cose in sé ma a come le vediamo e tutt’ora la scienza moderna ci conferma questo fatto: monitoriamo la realtà attraverso un processo di interpretazione che si basa sulle nostre esperienza precedenti ed è filtrato dalla nostra struttura psichica. Oggi potremmo aggiungere che le rappresentazioni della realtà sono condizionate anche dalle nostre emozioni.

La messa a fuoco di tutto ciò permette di comprendere quanto il nostro vissuto, il nostro comportamento sia legato alle nostre rappresentazioni, le stesse che mettiamo in atto durante i rapporti interpersonali e quindi anche nel gruppo; si può così facilmente dedurre il motivo per cui la modalità di terapia gruppale possa aiutare a modificare il modo di vedere e di sentire le cose e quindi trasformare le nostre azioni in pratiche adattive anziché stressanti. L’individuo, infatti, è stato programmato per monitorare costantemente la realtà in cui è immerso allo scopo di regolare il suo comportamento e mantenere gli equilibri adattativi che implicano degli sforzi e dei compromessi per garantire certi equilibri.
La metafora de “la bilancia dello stress” può aiutare nel descrivere e nell’ immaginare questo processo di monitoraggio come una pesatura, che il soggetto effettua, delle necessità e delle possibilità di risposta.
Le necessità possono essere chiamate anche “richieste”, provenienti dal contesto, mentre le possibilità di risposta sono le “risorse” potenziali del soggetto: collocando le richieste e le risorse sui piatti di una bilancia avremo la bilancia dello stress.

In base a questa metafora i livelli di attivazione del programma dello stress derivano dagli equilibri o dagli squilibri tra questi due fattori percepiti soggettivamente. Sia le richieste che le risorse sono declinabili nella componente “esterna” e “interna”: le richieste esterne sono riferite al contesto, quelle interne si riferiscono alle aspettative della persona; le risorse interne sono le capacità dell’individuo, quelle esterne si riferiscono a tutto ciò su cui la persona può contare al di fuori di sé.
Non è la presenza di richieste in sé il problema ma la sensazione che queste siano superiori alle possibilità del soggetto (Lazarus, Foulkman, 2007).
Il benessere del soggetto sta nel saper utilizzare risorse come l’adattamento e l’autorganizzazione rispetto alle instabilità e al caos della realtà. Queste due qualità dipendono dalla mente della persona che è considerata il più alto e sofisticato livello per la gestione delle energie, dei nuovi bisogni bio-psico-sociali e dei mutamenti.
Se le capacità di gestione della mente dell’individuo sono più deboli (o meglio, il soggetto le percepisce come tali) rispetto ai cambiamenti da affrontare, il sistema di autoregolazione percepirà e gestirà in maniera errata le azioni, i pensieri ed i sentimenti nel contesto e si sentirà sovraccaricato.
Il soggetto per far sì che possa mediare continuamente tra interno/esterno dovrebbe conoscere le proprie dinamiche di autoregolazione e quindi il proprio bilanciamento dello stress. Da tale regolazione dipenderà l’autorealizzazione, il benessere psico-fisico e il raggiungimento dei propri obiettivi (Lazzari, 2007).

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