Il campo gruppale secondo Armando Bauleo

Il punto di vista di Armando Bauleo come sintesi del concetto di campo gruppale

Maria Gloria Luciani

L’organizzazione dei servizi socio-sanitari in Italia fu profondamente influenzata da A. Bauleo che giunse nella nostra penisola attratto dall’amicizia con Basaglia il quale con le sue idee di deistituzionalizzazione costituì il ponte concettuale percorso da Bauleo dall’Argentina sin qui. Il suo periodo di attività iniziò alla fine degli anni settanta quando arrivò a Venezia e fu convinto dai suoi amici argentini a stabilirvisi.

Citando Bauleo ed il suo approccio si mira a compiere un’ omogenea sintesi del concetto di campo gruppale trattato fin’ora, sia come approccio gruppoanalitico sia come risorsa istituzionale. Egli, infatti, rifacendosi al concetto di Pichon Riviere definiva il gruppo come una entità sovrapersonale che esiste in quanto si propone in modo esplicito o implicito un compito. Questa modalità di lettura conduce a vedere i vari elementi che emergono nel gruppo come segni di una “struttura gruppale sovrapersonale esistente” hic et nunc.

Il gruppo, con Pichon e successivamente con Bauleo, divenne “operativo” e fu lo strumento teorico-pratico di quella che lui definiva “psicologia-sociale-analitica” per dimostrare così l’esistenza di un ponte reale tra il pensiero sui gruppi, la psicologia sociale e la psicoanalisi. Il gruppo operativo era, infatti, un’istanza tra individuo e società che avrebbe aiutato il soggetto a liberarsi della sua passività e ad adattarsi attivamente alla realtà.

Agli inizi degli anni ’40, infatti, Enrique Pichon-Rivière si trovò ad affrontare una serie di situazioni problematiche lavorando nell’ospedale Las Mercedes di Buenos Aires. Dapprima organizzò gruppi con infermieri per migliorare la loro professionalità; in un secondo momento, in seguito a uno sciopero del personale dell’ospedale, realizzò una esperienza di gruppo con i malati meno gravi o in via di guarigione per permettere loro di seguire quelli più gravi. Entrambe le esperienze si rivelarono fruttuose e teoricamente interessanti. Così, da questa situazione, nacque in Argentina il gruppo operativo per opera di Pichon Rivière con il compito concreto di organizzare l’assistenza dei pazienti dell’ ospedale. La sua teorizzazione sarà poi approfondita dai suoi allievi Josè Bleger e Armando Bauleo (Pichon Revèrie, 1985).

I gruppi operativi sono una modalità di fare gruppoanalisi ma anche un approccio teorico per affrontare problemi relazionali a livello istituzionale. Bauleo analizzò la situazione delle istituzioni descrivendole non solo come ambito esterno ma anche come nostra struttura interna della quale subiamo inconsciamente l’influsso sui nostri comportamenti che diventano prodotto del sistema istituzionale nel quale siamo coinvolti.

Ciò vuol dire che la nostra soggettività è coinvolta su due livelli: il piano istituzionale ed il piano dell’inconscio, il che dimostra l’inestricabilità del nostro Sé con il contesto relazionale e quindi il bisogno di una cura relazionale. Quando si introduce in un contesto istituzionale come quello ospedaliero la tecnica operativa ci si trova spesso di fronte ad un muro di resistenze, timorose del cambiamento e del confronto tra gli addetti ai lavori: si ha paura di perdere le certezze e le comodità del quotidiano a cui si è abituati (Bauleo, 2005).

Bauleo combatteva tali resistenze sostenendo la sua idea di quotidianità intrisa di complessità e relazioni che genera una soggettività storica e sociale allo stesso tempo. Indubbia diventa la sua visione dialettica della relazione uomo-contesto e l’importanza della condizione esistenziale vincolare da cui deriva la tematica della complessità. È il vincolo che complica la relazione tra soggetto e oggetto, tra chi osserva e chi è osservato, quindi ogni giudizio, anche la descrizione più oggettiva, nella configurazione vincolare coinvolge sempre chi osserva.

Anche i sintomi e la malattia, quindi, vengono analizzati nei movimenti vincolari del gruppo familiare che il soggetto riporta nel setting clinico come l’emergente, il prodotto o il risultato di quei vincoli.

Il gruppo operativo, quindi, è la giusta via da percorrere per un approccio psico-socio-analitico applicabile in diversi ambiti e che possa rendere la presenza, all’interno della sua teoria e tecnica, della dimensione collettiva in cui siamo inseriti. Durante gli incontri di gruppo, infatti, il piano latente si va a costituire all’insaputa dei soggetti stessi, così come sin dai primi anni di vita il soggetto instaura una rete di relazioni che non sa percepire completamente in maniera conscia. Metaforicamente parlando, quindi, il piano latente sarà quel canovaccio che si andrà ad analizzare attraverso le dinamiche di gruppo e l’interpretazione anziché per mezzo di una semplice lettura del piano manifesto. I sentimenti, i vissuti e gli argomenti costituiscono una specie di opera teatrale che prende forma attraverso parole, gesti ed emozioni che attraversano il gruppo i quali saranno svelati dal coordinatore.

Quest’ultimo, inoltre, deve saper gestire i momenti di incertezza che il gruppo attraversa quando si trova in procinto di cambiamenti importanti e la rottura degli schemi di riferimento non è stata sostituita con schemi nuovi: se ogni soggetto non fa quel grande lavoro psichico che comporta l’articolazione tra le proprie idee e quelle dell’altro, non arriverà mai all’integrazione tra i diversi punti di vista, come affermava anche Bleger.

Il processo gruppale parte, quindi, dall’io, passa per il noi per riapprodare poi all’io creando un processo di fusione di idee, spesso contraddittorie, che ognuno deve elaborare dentro di sé proprio nella contraddittorietà. L’integrazione che ne scaturirà comporterà un cambiamento del sapere di ciascun componente, la rottura degli stereotipi e delle proprie fissità (Berto, Scalari, 2000).

Quando si crea un minimo di internalizzazione incomincia cioè ad apparire un elemento di depressione, tristezza, riflessione. Alla paura dell’attacco subentra la paura della perdita nel senso che emerge un sentimento depressivo per la perdita del vecchio schema di riferimento. Quando questi sentimenti cominciano a mettersi in gioco possiamo dire che il gruppo ha iniziato a funzionare. Il gruppo non funziona bene quando non presenta alcun sentimento, ma quando ha la possibilità di elaborare le ansie presenti, quando si possono dare le condizioni per la elaborazione di questi sentimenti. Nello stesso tempo il gruppo si rende conto che c’è un compito manifesto in comune che ha bisogno di un tempo e di uno spazio per poter essere affrontato.

Mentre si assiste alle trasformazioni rispetto al compito, si verificano anche cambiamenti rispetto alle relazioni tra i membri del gruppo, cambiamento che si presenta come un vero e proprio apprendimento.

Da questa descrizione del funzionamento del campo di gruppo risaltano i tre fattori che rappresentano la situazione del gruppo come in una struttura triangolare: il coordinatore, il compito e l’organizzazione gruppale. La funzione del coordinatore non è quella di entrare nel gruppo come leader o quella di dire al gruppo cosa deve fare ma dovrebbe interpretare il legame tra il gruppo e il compito, ossia come il gruppo lavora sul compito.

È chiaro che il gruppo soprattutto all’ inizio cercherà in ogni modo di far entrare il coordinatore nella situazione-gruppale, di farne il suo leader. La funzione del coordinatore sarà quella di non entrare nel gruppo e di restituire la leadership in lui depositata al gruppo. Per il gruppo operativo i leader sono da rintracciare all’interno del gruppo e sono in funzione del compito; è il gruppo che inconsciamente decide quale tipo di leader avere.

La cosa importante per il gruppo operativo non è scegliere il leader migliore, ma permettere una rotazione della leadership all’interno del gruppo. Se il leader in un gruppo è sempre lo stesso ci troviamo di fronte a una resistenza al cambiamento.
Oltre a segnalare le vicissitudini del gruppo rispetto al compito, un’altra funzione del coordinatore è quella di essere garante del setting. Quest’ultimo è di centrale importanza perché è lo spazio che permette di vedere come il gruppo svolge il compito, è la cornice che fa partire il processo stesso. Contemporaneamente il setting è fondamentale per poter contenere le ansie e le emozioni in una dimensione costituita da quattro variabili: tempo, spazio, ruoli e compito.

Il setting aiuta il coordinatore a mantenere una posizione decentrata rispetto al gruppo. Il decentramento rispetto al gruppo presuppone da parte del coordinatore l’elaborazione di due ordini di problematiche: quella dell’appropriazione del prodotto e quella del lutto. A partire dal setting il coordinatore deve sapere cioè che il gruppo non è di sua proprietà e che, sin dall’inizio, deve cominciare il suo distacco sia dal gruppo sia dai suoi risultati.
Per finire dobbiamo sottolineare che è l’istituzione che dona al campo gruppale “l’impronta” e si identifica come guscio esterno e protettivo ma anche come linfa interna che colora i fantasmi, le paure ed i desideri di ogni membro (Bauleo, 1983).

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