Capire se mente dall’espressione del volto

Scopri se mente con le espressioni facciali

Il sistema FACS di Ekman e lo studio della menzogna

Lisa Rogai

Ci sono tre modi per mentire e quindi controllare le espressioni facciali: rettificare un’espressione, modularla o falsificarla. Tutte e tre hanno motivazioni e tecniche diverse e specifiche. Per rettificare un’emozione, gli Autori intendono il mostrare un’espressione facciale a seguito di un’altra, quasi a commento della precedente. Non viene dunque soppressa la prima espressione ma questa viene seguita da un’altra per giustificarla, a volte per rendere tutto accettabile secondo le norme culturali, altre volte semplicemente perché si ha un’emozione veritiera dietro. Questa è la forma più lieve del controllo e quella che meno interessa dal punto di vista della necessità di distinguere ciò che è falso da ciò che è vero.

Il secondo controllo possibile è la Modulazione. Come il termine fa intendere, questo modo di controllare l’espressione del volto consiste nel variare e regolare l’intensità della manifestazione emotiva. Quindi viene mostrata l’emozione reale ma minimizzata o accentuata a seconda del bisogno situazionale. Per farlo si può rilassare o contrarre maggiormente la muscolatura del viso oppure si può aumentare o diminuire il tempo in cui l’espressione è sul nostro volto. Particolare attenzione merita la tecnica della falsificazione, poiché è quella considerata la più importante e complessa tecnica di menzogna concreta.

Questa è stata descritta come divisa in tre sotto tecniche. Una di queste, la neutralizzazione, consiste nel non mostrare l’emozione che si sta provando. Può essere equiparata alla tecnica della modulazione ma è molto più forte e decisa; si tratta in questo caso di abbassare l’intensità fino a farla scomparire. Per farlo, il soggetto dovrà mantenere i muscoli rilassati, al contrario di ciò che verrebbe spontaneo fare, oppure potrà nascondersi il volto. L’espressione risultante però apparirà piuttosto falsa anche a un osservatore senza esperienza poiché non assomiglierà a nessuna emozione reale e allo stesso tempo il volto del soggetto non sembrerà rilassato, al contrario molto teso per il grande sforzo esercitato in quel momento.

Un’altra tecnica consiste nel mascherare l’emozione che proviamo in quel momento, riproducendo un’espressione diversa (spesso contraria) al suo posto. Questa tecnica è chiamata mascheramento. Un esempio su tutti per spiegare meglio questo metodo, può essere quello di un colpevole di reato che viene preso dalla polizia e che mostra sorpresa alla posto dell’emozione autentica della paura. Questo procedimento è spesso più utile e anche più facile da mettere in pratica rispetto alla neutralizzazione, poiché comporta uno sforzo minore.

L’ultima tecnica descritta da Ekman e Friesen è quella della simulazione. Questa consiste nel mostrare un’espressione emotiva quando non se ne sta provando alcuna. Spesso succede per convenzione sociale; si pensi a una situazione triste per un collega, come un lutto in famiglia. Può capitare che a noi questa situazione non susciti alcun tipo di emozione, ma per educazione ci mostriamo anche noi tristi. Per far apparire un’espressione emotiva sul nostro volto ci dobbiamo ricordare cosa si prova in una situazione che ci suscita quella specifica emozione (Ekman & Friesen, 2004).

Identificare la finzione dall’espressione del volto

Come sopra accennato molti clinici si sono interessati allo studio del FACS e da questo interesse è suscitato il bisogno di riuscire a capire quando i pazienti mentono e quando dicono il vero, come sostegno alla diagnosi e alla terapia. Ekman e Friesen hanno cercato di trovare metodi e indizi per appurare il falso avvalendosi inizialmente di una videoregistrazione di una paziente psichiatrica ricoverata per depressione. Mary, la paziente in questione, riferiva, durante il colloqui con il terapeuta che si sentiva meglio, che era pronta per tornare a casa dalla sua famiglia. Prima di sospendere il ricovero però ammise di avere intenzioni suicide. Analizzando il video, guardandolo numerose volte, anche a rallentatore, il ricercatore si accorse di alcune espressioni di brevissima durata che potevano far capire la sua profonda e reale tristezza, espressioni che la stessa Mary mascherava con espressioni di felicità, che alternava con simulazioni della stessa emozione positiva. Le espressioni di brevissima durata, che a volte non raggiungono la metà di un secondo, sono spesso gli indizi più attendibili di cui tenere conto quando si vuole indagare la menzogna. Per quanto un individuo possa voler nascondere, mascherare o modulare un’espressione, non riuscirà a tenere tutti i muscoli sotto controllo e le microespressioni, così chiamate proprio per la loro caratteristica temporale, ne sono la conferma. Lo psicologo aggiunge che coloro che sono più bravi a scoprire dove sta la menzogna sono coloro che hanno maggiore attenzione alle microespressioni (Frank & Ekman, 2004).

Come i ricercatori osservano, ci sono altri indizi di cui tener conto. Uno tra questi è la tempistica di inizio, durata e fine di una certa emozione. Non ci sono misure temporali precise e specifiche per ogni emozione, queste però vengono esplicitate dal contesto. Si pensi a un individuo che riceve una notizia che dovrebbe per lui essere una novità ma non lo è realmente. In un’espressione di sorpresa sincera il tempo di latenza tra l’attivazione dei muscoli facciali e quella di espressione completa, con muscoli totalmente contratti, è breve e mantenuta per diversi secondi prima del ritorno a un’espressione neutra. Se l’esperienza emotiva è nulla (nel caso descritto) avrà molto probabilmente una tempistica diversa, come un’interruzione precoce o una durata troppo breve o al contrario troppo lunga (nel primo caso il motivo può essere quello di cercare di non far accorgere l’interlocutore della falsità dell’emozione, il secondo caso può essere dovuto al fatto di voler convincere lo stesso esagerando e teatralizzando).
Altro fattore da considerare è quello della collocazione dell’espressione all’interno del discorso prodotto dal soggetto di analisi. Per collocazione si intende il momento in cui viene manifestata l’espressione emotiva rispetto all’argomento emozionante che stiamo esprimendo. Per esempio se diciamo qualcosa che dovrebbe farci provare tristezza, come “Ieri è stato ricoverato mio nonno”, la nostra espressione di tristezza deve manifestarsi durante ciò che stiamo esprimendo a parole o addirittura prima (poiché il pensiero precede la produzione linguistica). Se invece la stessa espressione è costruita dopo la frase emessa, appare ben poco credibile poiché non correlata con l’immediata emozione.

L’ultimo e il più importante indizio, insieme alle microespressioni, la morfologia del viso e i suoi cambiamenti, in tutte le sue parti, in particolare nella parte inferiore (bocca e parte inferiore delle guance) (Frank & Ekman, 2003/2007). Da recenti ricerche di Ekman e Friesen, non ancora del tutto confermate, si è visto che la parte inferiore del viso è quella che meglio riusciamo a controllare. Le tracce residue di espressioni che il soggetto vuole nascondere quindi andranno ricercate nella parte superiore del viso, come fronte, sopracciglia e palpebre poiché la parte inferiore è meno attendibile. Quando un individuo finge tristezza, per esempio, sarà più abile a modellare la parte che comprende la bocca e ciò che la circonda, mostrando gli angoli delle labbra verso il basso e il mento che spinge in alto, piuttosto che la parte superiore del viso come gli estremi interni delle sopracciglia verso l’alto e spesso ravvicinate. Un’espressione di tristezza senza caratteristiche specifiche, nella parte superiore del viso, appare poco credibile.

 

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