Le 13 strategie di manipolazione mentale
Grazie a notevoli studi da parte di scienziati, sociologi, psicologi e criminologi, oggi è possibile riscontrare molti meccanismi di manipolazione, su cui fa leva colui che chiameremo il manipolatore, nei confronti della vittima che, inconsciamente, vede indebolire la propria volontà, la mente forzata e aperta a forme di condizionamento. È durante questo processo inconscio che il manipolato deve lavorare e stilare le proprie linee difensive e, per farlo, è fondamentale il riconoscimento appunto di tali meccanismi.
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Associazione stimolo/reazione
Ivan Pavlov, scienziato vincitore di premio nobel, è riuscito a spiegare e dimostrare tale meccanismo conducendo degli esperimenti su dei cani. Egli inizio dapprima nel cibare alcuni cani facendo sempre precedere il “pranzo” dal suono di una campanella, osservando innanzitutto come alla vista del cibo gli animali reagissero con un’intensa salivazione, simbolo di un riflesso naturale del cane, funzionale alla digestione e associata alla fame. Dopo un certo periodo di addestramento, Pavlov sottopose i cani al suono della campanella senza però dare loro del cibo; gli animali reagirono con la stessa salivazione, che era evidentemente segnale di un’aspettativa emotiva. Ciò che Pavlov ha così dimostrato è come sia possibile associare stati emotivi (e le conseguenti reazioni fisiche) a elementi esterni e variabili. Tali reazioni vengono definite “riflessi condizionati” e sono alla base dello sviluppo delle tecniche di condizionamento mentale.
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Processo di apprendimento
Il principio che Pavlov ha evidenziato si basa a sua volta su un altro meccanismo innato, il processo di apprendimento, che è cosi elementare da sfuggire completamente alla nostra attenzione. Nello studio del processo di apprendimento Pavlov introdusse l’importanza del “rinforzo”, o stimolo positivo, e della “dissuasione”, o stimolo negativo. Alcuni animali reagivano con un apprendimento più rapido quando le risposte corrette venivano ricompensate, ad esempio con carezze, mentre altri quando i loro errori venivano puniti con scosse elettriche.
Come è facile immaginare, traslando dai cani agli uomini il procedimento e le conseguenti reazioni cambiano: maggiore è la complessità del soggetto, più vasto è il campo in cui i processi si moltiplicano, pur permanendo il meccanismo di base. Un uomo condizionato ad odiare un dato simbolo può arrivare a dirottare un aeroplano o lanciarsi contro edifici pieno di esplosivo. Tramite l’addestramento le reclute di alcuni gruppi combattenti vengono persuase a odiare ciecamente uno specifico nemico, permettendo poi loro la piena capacità di condurre operazioni e pianificazioni. Se condizioniamo un cane a odiare un dato simbolo e poi gliene mostriamo uno su una maglietta di un uomo, il cane lo attaccherà. Tra il cieco assalto furioso di un animale e quello freddamente organizzato di un commando di dirottatori kamikaze, l’odio espresso è identico ed ha la medesima matrice: il condizionamento.
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Isolamento
Uno dei metodi più efficaci per controllare la mente altrui consiste nell’isolare l’individuo, allontanarlo dalla sua casa, dai suoi affetti, dalle amicizie e da tutto ciò che gli appartiene. La privazione di questi elementi indebolisce la vittima e la rende più vulnerabile agli attacchi di tipo mentale. A rimostranza di ciò, Pavlov ha dimostrato appunto che i riflessi condizionati sono provocati più facilmente in un ambiente privo di disturbo e questo perché la personalità di un individuo è costantemente riconosciuta nel suo vissuto quotidiano: sentirsi chiamare “caro” in casa o per nome dai propri amici e familiari, ogni giorno per anni, ci fornisce un’immagine riflessa di chi siamo e di come veniamo percepiti. Per esempio, essere riconosciuti tramite un numero, come avviene in molti sistemi carcerari, può avere un impatto emotivo sconvolgente e, al tempo stesso, costringerci a identificarci con una ben diversa immagine di noi stessi.
Come rileva lo studioso Olandese Joost Abrahm Maurits Meerloo:
Non appena un uomo resta solo, allontanato dal mondo e dalle notizie su cosa stia accadendo, la sua normale attività mentale viene rimpiazzata da ben diversi processi. Ansie dimenticate riemergono, memorie represse da tempo tornano alla mente. La sua immaginazione assume proporzioni immense. Non può più confrontare le sue fantasie con la realtà e molto presto rimane vittima dei suoi stessi incubi.
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Legame affettivo
La tecnica dell’isolamento fa leva sulla necessità di avere un contatto con altri simili. Più a lungo l’individuo viene mantenuto isolato, più intensa e insopportabile sarà la necessità del prigioniero di stabilire un contatto. Tale procedimento viene adottato per esempio nei programmi di inserimento culturale, ove si legano gli adepti ai loro nuovi compagni per staccarli in ogni modo dai legami familiari, affettivi e sociali precedenti. Inoltre questo è anche il meccanismo che, in condizioni di prigionia, avvia un legame perverso tra la vittima e il carceriere, il quale spesso rappresenta l’unico possibile contatto umano. Tra il non sentirsi più riconosciuto per nulla e il sentirsi riconosciuto come prigioniero, la vittima sceglie la seconda possibilità come male minore. E’ ciò che psicologi chiamano Sindrome di Stoccolma o Patto Masochistico.
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Controllo sociale
Sotto il nome di controllo sociale si raccolgono tutte quelle forme di condizionamento che un gruppo mette in atto nei confronti degli individui che lo compongono[1]. Esso è presente, ad esempio, come forma di rinforzo nei processi di indottrinamento: il soggetto, uscito da un periodo di isolamento dai precedenti legami affettivi, viene inserito in una cerchia di persone che hanno già aderito alla nuova ideologia. Egli riceverà con gratitudine i contatti affettivi con il nuovo gruppo e sarà bendisposto ad accettarne il controllo sociale. Il gruppo a sua volta trasmetterà o rafforzerà in lui concetti e i modelli interpretativi inerenti alla cerchia, modelli che egli si troverà ad assorbire associandoli alla sensazione di riconoscimento del suo “nuovo Io”.
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Il “group thinking”
«Il “group thinking” ovvero il “pensiero di gruppo” è stato oggetto di molti esperimenti che hanno dimostrato come gli individui siano fortemente condizionati dalle opinioni del gruppo nelle proprie percezioni e nei comportamenti[2]». Solomon Asch, psicologo sociale polacco, ne ha dimostrato la validità nel 1956 tramite uno dei suoi esperimenti. Questo consisteva nell’includere alcuni soggetti in piccoli gruppi dove, mostrate tre linee di lunghezza molto differente, si chiedeva loro di indicare quale delle tre corrispondesse, ad esempio, a un metro. Gli altri membri del gruppo, complici dello sperimentatore, davano unanimemente una risposta evidentemente errata. Ebbene, il 33% dei soggetti si lasciava condizionare da tale risposta e indicava a sua volta la lunghezza palesemente sbagliata.
Altro tipico meccanismo del controllo sociale è quello analizzato dalle “teorie dell’etichettamento”.
Queste si sviluppano dall’assunto che in un dato ambito sociale le persone tendano a diventare cosi come vengono “etichettate”, secondo criteri di classe sociale, discendenza… Una volta avviato un dato etichettamento, l’individuo sarebbe forzato a sentirsi, e quindi a comportarsi e a divenire a tutti gli effetti, quel tipo di persona. E’ evidente come questo meccanismo venga adottato da parte di manipolatori per modificare la percezione del sé del soggetto-vittima[3].
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Tortura
Con questo termine si possono indicare molte forme di pressione psicofisica, ma quelle spesso più utilizzate dal manipolatore si riducono a mera imposizione di dolore fisico quale elemento di condizionamento mentale. È convinzione diffusa che imprimere dolore fisico alla vittima durante un interrogatorio sia, per esempio, un modo per ottenere una sua sottomissione; c’è anche chi crede che ci sia una correlazione tra intensità del dolore e possibilità di successo della strategia. Queste convinzioni sono fondamentalmente errate. Il dolore fisico non ha effetto di per sè, ma in alcuni aspetti legati alla sua applicazione: prima di tutto sull’aspettativa e poi sullo stato di tensione (talvolta di terrore) che implica al soggetto. Si ha un ottimo effetto laddove il dolore giunga in maniera inattesa; in questo caso lo shock può portare ad un’immediata caduta. Inoltre il risultato è potenziato se la vittima ha dapprima percepito la situazione come inoffensiva e di conseguenza ha abbassato le sue difese psicologiche. In questo caso sia la simbologia della violenza che il dolore in se stesso sono poco rilevanti, è lo shock il vero elemento portante. Nel caso in cui, al di fuori dell’interrogatorio, il soggetto agente non abbia nessun interesse alle informazioni esposte dalla vittima, ma abbia interesse a distruggerne la sua personalità, condizionarla o farle assumere date colpe, non c’è alcun limite alla tortura, che si conclude fino a quando la vittima stessa non perde ogni individualità e accetta passivamente ogni indicazione che le viene posta.
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Deprivazione del sonno
Privare del sonno un soggetto è un’altra potentissima arma per manipolarlo. Dormire non serve solo a far riposare il nostro corpo, ma anche, e soprattutto, la nostra mente. Tutto ciò perché la privazione del sonno produce delle sostanze tossiche che si concentrano nel cervello e portano a numerose conseguenze negative: stati depressivi o euforici a fasi alterne, reazioni violente o apatiche, indifferenza per tutto ciò che è circostante, scoppi di ilarità o pianti immotivati, insomma ottimi terreni per innescare il meccanismo di controllo mentale.
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Deprivazione sensoriale
John C. Lilly, basandosi sullo studio degli scritti autobiografici di alcuni esploratori polari, conclude che l’isolamento è di per se uno stress potente, che provoca reazioni come superstizione, affettività esagerata per qualsiasi essere vivente, allucinazioni.
La ragione di questi sintomi è la tendenza a ripiegarsi su se stessi che emerge quando sono limitati gli stimoli esterni. In assenza di elementi con cui definire la realtà circostante, il soggetto tende a proiettarvi i fantasmi che emergono dal suo inconscio: le sue paure, i suoi ricordi e altri incubi rimossi o dimenticati. I ricordi normalmente legati alla realtà si spostano alla fantasia.
Philip Kubzansky nota che alcuni studi rilevano una risposta differente da parte di soggetti affetti da disturbi mentali. Di fatti questi soggetti mostrerebbero una diminuzione dei loro sintomi, allucinazioni e ansietà, rispetto a quelli “normali”. Ulteriori esperimenti invece hanno dimostrato che per ottenere risultati più intensi occorre limitare tutti i sensi contemporaneamente.
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Sottomissione
Sottomettere una persona è un processo molto difficile da eseguire perché va a collidere con delle strutture del soggetto molto forti e radicate come l’orgoglio, la percezione del sé, la dignità, l’autostima e la rispettabilità.
I processi di controllo mentale riescono nell’impresa tramite espedienti come regressione o rimozione completa delle opinioni bollate dal manipolatore come “sbagliate” o “malate” nei confronti del soggetto-vittima che, in preda anche ad altri meccanismi, può innescare patologie come “necessità di dipendenza”, “masochismo mentale” o “desiderio di morte”.
Quando si è sottoposti a dei processi di questo tipo, il soggetto sottomesso può, per esempio, essere spinto a comprare degli oggetti che per lui non hanno interesse, oppure nelle forme più gravi si arrende totalmente al manipolatore, confessandogli qualsiasi cosa e accettando non solo qualunque ruolo che gli viene chiesto dal carceriere, ma anche torture e perfino la morte pur di uscire da una condizione di sofferenza mentale inaccettabile.
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Esaurimento
«La pazienza è la virtù dei forti, quindi anche una delle armi più efficaci di chi pratica il mindfucking[4].» Condizionare una mente, destrutturarla, ferirla, modificarla, indottrinarla non sono processi veloci.
Il tempo è un’arma notevole e formidabile: più a lungo il soggetto resta in isolamento, in privazione del sonno, in stato di ansia, in costante sensazione di senso di colpa, più si abitua alla sua condizione e più è facile accedere alla sua mente.
Negli interrogatori per esempio la ripetizione di domande sempre identiche per giorni e giorni è uno strumento egualmente efficace nell’esaurire le energie dell’interrogato, rendendolo pronto a qualsiasi confessione pur di uscire dalla situazione da incubo in cui si trova. Inoltre molti sistemi inquisitori includono luci penetranti puntate in faccia, suoni fastidiosi e prolungati usati per confondere i sensi, indebolire e infine esaurire le difese.
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Ipnosi
L’ipnosi è un procedimento in cui un operatore, nella funzione di ipnotizzatore, induce il cliente (ipnotizzato) a sperimentare significativi cambiamenti nei propri comportamenti in connessione con una sospensione temporanea della coscienza. Di norma la situazione ipnotica è costituita da una fase di induzione che conduce a obnubilare la coscienza dell’ipnotizzato e a fargli compiere una serie di azioni atipiche (distorsioni comportamentali).[5]
Di tutte le metodologie specifiche di controllo mentale l’ipnosi è evidentemente una delle più dirette. L’idea di poter controllare la mente dell’altro-vittima è il “sogno” di ogni manipolatore o esperto di interrogatori. Ma, nonostante si tratti di una pratica molto antica (ci sono prove storiche che fanno risalire l’utilizzo dell’ipnosi all’Antico Egitto), a oggi non si hanno informazioni certe e attendibili sui suoi limiti. L’efficacia dell’ipnosi è argomento di aspre discussioni tra gli psicologi. Opinione prevalente è che un soggetto sotto ipnosi possa essere stimolato ad assecondare istinti in lui già presenti, ma non forzato ad azioni che non acconsentirebbe di realizzare normalmente.
Le tecniche ipnotiche possono essere utilizzate per creare nella memoria degli episodi immaginari del passato recente e lontano, per produrre suggestioni su possibili eventi del futuro, o persino visioni di visite ad altri mondi: tutte queste illusioni possono essere create ad hoc per facilitare o rafforzare l’adesione a culti o ideologie. Inoltre tali tecniche possono anche essere utilizzate per condurre il soggetto a rivivere situazioni traumatiche reali o totalmente immaginare, evocate al solo scopo di imporre alla vittima sofferenza emotiva. Infine bisogna dire che non tutti i soggetti sono ipnotizzabili e anche quelli che lo sono non lo sono nello stesso modo e con la medesima facilità; per capire ciò bisogna studiarne la tecnica che oggi viene utilizzata dai manipolatori o da qualunque altro soggetto esperto del settore come psicologi o psichiatri.
Come viene ipnotizzata una persona?
Di solito nell’ipnosi un soggetto collaborante abbandona un certo grado di controllo della propria coscienza all’ipnotizzatore e accetta le sue indicazioni (suggestioni), che possono condurre a distorsioni della realtà.
Il procedimento ipnotico nella sua essenza è composto da tre fasi: nella prima si pone il soggetto in condizione di pieno rilassamento (contesto ipnotico), da questa condizione entriamo nella seconda, dove a quest’ultimo vengono impartite in maniera progressiva diverse suggestioni (per esempio la classica prova di incrociare le dita seguita dall’indicazione di non poterle più separare). Infine concludiamo nella terza che comprende, l’ordine di fine ipnosi e quindi di risveglio.
In passato, gli ipnotizzatori facevano ricorso a comandi autoritari, pendolo in mano e occhi magnetici puntati sul soggetto. Oggi, questi metodi sono stati abbandonati per questioni di credibilità sociale; infatti le tecniche odierne sono più fini e basate su un elemento importantissimo: il linguaggio. Spesso il soggetto e l’ipnotizzatore sono seduti uno di fronte all’altro e l’induzione ipnotica consiste nel raccontare una “storia”, in cui si inseriscono frasi inerenti e ricorrenti che provocano nel soggetto un profondo rilassamento e lo portano a spostare l’attenzione su un determinato pensiero, oggetto o parte del corpo. Quindi, una volta ottenuta la condizione di ipnosi, l’ipnotizzatore può inviare le suggestioni per ottenere specifiche e anomale risposte da parte del soggetto ipnotizzato come: allucinazioni, regressioni, incremento dei ricordi ed ecc…
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Sostanze stupefacenti
«La droga indebolisce le capacità di resistenza all’indottrinamento, le facoltà difensive e le identità culturali. Crea inoltre un perfetto stato di dipendenza fisica e mentale. Per questo è stata variamente utilizzata, in differenti epoche e condizioni, come efficace strumento di condizionamento[6].» Già i Maya usavano droghe per indurre le vittime in uno stato di confusione e strappare loro confessioni e segreti. A proposito di sostanze stupefacenti, lo studioso Olandese Meerloo osserva come nel processo di condizionamento, nel caso in cui il prigioniero risulti troppo resistente alle pressioni mentali, possano essere utilizzate sostanze come mescalina, marijuana, morfina e bevande alcoliche al fine di indebolire il soggetto. Se invece il corpo cede alle torture e giunge al collasso prima che la mente si arrenda, possono essere somministrati stimolanti come benzedrina, caffeina al solo scopo di mantenerlo vigile e prolungare l’agonia, finché non cede alle richieste avanzate.
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Regressione
L’età adulta come naturale proseguo di fasi precedenti significa assunzione di responsabilità: un bambino non ha la responsabilità per cucinare o guadagnare uno stipendio semplicemente perché non ne ha le capacità.
«La regressione è un sistema difensivo della mente tramite il quale il soggetto, sottoposto a un intollerabile stress emotivo, cerca rifugio nelle percezioni di se stesso e del mondo di un’età precedente, secondo un processo cronologico inverso[7].» Ciò significa che più regredirà nel tempo (comportando quindi anche regressione di valori, conoscenze, capacità e responsabilità) più facilmente si libererà delle strutture e percezioni della personalità recenti che lo attanagliano.
La maggiore semplicità mentale di un bambino, la sua più spiccata vulnerabilità, la sua carenza di sistemi di difesa e di critica e la sua immediata affettività sono il motivo per cui la regressione è una degli alleati migliori di chi intende influenzare, modificare o distruggere la nostra psiche; tutto ciò è facilitato ovviamente dall’ipnosi, utile per aggiungere ricordi recenti o remoti alla memoria del condizionato.
Nel corso di un processo di condizionamento è essenziale indurre il soggetto a una regressione più o meno ampia. Una volta regredito a livello infantile, il soggetto recepirà il condizionamento non soltanto come mutamento della propria realtà, ma come trasformazione dell’intero universo: proprio questo è l’obiettivo finale di qualsiasi indottrinamento.
[1] Stefano Re, “Mindfucking”, Castelvecchi, Milano, 2009
di Angelo Alabiso
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