Le cause aziendali del mobbing

Come il clima organizzativo può facilitare il mobbing

Conoscere le cause del mobbing può aiutare a prevenirlo

 

 

Antonella Matichecchia

 

 

Cause oggettive: clima culturale e violenza aziendale. L’approccio “culturale” di Harald Ege.
Harald Ege (ricercatore tedesco), vive e lavora in Italia dalla prima metà degli anni ’90, ha svolto alcune ricerche nel campo della psicologia del lavoro. Ha fondato a Bologna, l’Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale che si occupa di assistenza e formazione per le vittime della violenza psicologica sul lavoro. Il mobbing è definito da Ege:
“Una guerra sul posto di lavoro in cui, tramite violenza psicologica, fisica e/o morale, una o più vittime vengono costrette ad esaudire la volontà uno o più aggressori. Questa violenza si esprime attraverso attacchi frequenti e duraturi che hanno lo scopo di danneggiare la salute, i canali di comunicazione, il flusso di informazioni, la reputazione e /o la professionalità della vittima. Le conseguenze psico- fisiche di un tale comportamento aggressivo risultano inevitabili per il mobbizzato ” (Ege, 2007, p. 33).

L’approccio di Ege tiene conto delle differenze culturali esistenti fra i diversi paesi interessati al mobbing.
Infatti, la persecuzione psicologica sul lavoro è un fenomeno che interessa solo le zone più industrializzate del mondo, ovvero i paesi sviluppati (Europa, Nord America, Australia, Giappone).

Secondo Ege bisogna guardare alla causa culturale del mobbing, cioè ai valori predominanti nei diversi paesi e nelle diverse civiltà (Casilli, 2000). Sono tanti i fattori che determinano il “contesto culturale”; fra questi:- l’importanza del lavoro all’interno della vita umana ( se il lavoro ha un ruolo centrale nell’esistenza del mobbizzato, gli effetti della violenza psicologica si fanno sentire di più);- la competitività sul luogo di lavoro ( se il contesto favorisce la concorrenza fra i lavoratori, il grado di conflittualità aumenta e così il rischio di mobbing);

il livello di aggressività giudicato tollerabile ( se viviamo in una società dove l’aggressività è diffusa, saremo portati a considerare il mobbing come una cosa normale e radicata);

gli ammortizzatori sociali ( il mobbing ha effetti meno gravi se i servizi sociali e le reti di solidarietà familiare o comunitaria funzionano a dovere);

l’apertura alla diversità e alla multiculturalità ( se la forza- lavoro è molto disomogenea per sesso, età, etnia; e se il paese è tradizionalmente portato all’integrazione delle culture estranee, diminuisce il rischio di mobbing).

L’approccio della “violenza organizzativa” di Paul McCarthy.

Paul McCarthy ha coordinato una importante ricerca sui legami fra violenza psicologica e stili manageriali. Secondo l’autore, oggi, ci troviamo di fronte a una “nuova generazione del mobbing”. Per capire le sue cause dobbiamo pensare che:

1) negli ultimi anni l’economia mondiale ha conosciuto enormi trasformazioni tecnologiche, commerciali e finanziarie;

2) le aziende moderne devono sopravvivere nei mercati globali, dove la concorrenza è spietata;

3) per vincere la sfida della globalizzazione le aziende devono cercare di essere sempre più flessibili e leggere: devono diminuire il costo del lavoro;

4) per alleggerirsi le aziende licenziano molti dipendenti, i lavoratori che non vengono licenziati diventano sempre più precari, perdono le garanzie salariali di un tempo e si abituano a vivere sotto la costante minaccia di perdere il proprio posto;

5) impiegati e operai devono affrontare ambienti lavorativi in continua evoluzione;

6) nasce il “capitalismo del caos”, un nuovo scenario economico mondiale caratterizzato da grande incertezza;

7) per contrastare il panico provocato da questa incertezza nelle aziende si diffonde il mobbing: tutte le tensioni e gli stress accumulati vengono scaricati sulle vittime.

La struttura organizzativa delle aziende moderne è secondo McCarthy, la causa del mobbing. Nel corso degli anni Novanta le aziende si sono dovute riorganizzare profondamente. Per resistere alla concorrenza potenziale dei “mercati emergenti”, gli imprenditori hanno imposto la ricetta della flessibilità del lavoro.

Hanno introdotto la nuova retorica della “ristrutturazione” per la quale tutti devono collaborare al risultato comune della eccellenza aziendale. Certo, le ristrutturazioni hanno anche degli aspetti positivi, come l’eliminazione delle burocrazie e delle gerarchie, il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni, la maggiore produttività e l’aumento della comunicazione. Ma dietro questa facciata la realtà è un’altra.

Aumentano le ore lavorative, i carichi di lavoro e gli straordinari non pagati, le risorse scarseggiano, ciascun impiegato deve saper svolgere molte mansioni ( multiskilling ) e addossarsi ogni giorno nuove responsabilità e nuovi compiti. I dipendenti sono chiamati ad assumere ruoli dirigenziali e a fare anche il lavoro dei manager senza però percepire stipendi adeguati; spesso si lavora in squadre che cambiano continuamente e questo moltiplica le occasioni di attriti interpersonali. Questo scenario, rende il mobbing una strategia economica che non manca di dare i suoi frutti sia se applicata in prima persona dal capo, sia se tollerata fra i dipendenti.

Si tratta, secondo McCarthy di una violenza psicologica che organizza produttivamente le risorse umane dell’azienda; per cui il mobbing è un processo altamente produttivo, cioè produce il massimo effetto con il minimo sforzo. Sia le spiegazioni soggettive che quelle oggettive del mobbing si basano su:

– un ambiente insicuro;

– un conflitto fra persone.

Leymann e Field sostengono che l’ordine è il seguente:

Conflitto interpersonale –> Ambiente insicuro –> Mobbing.

Invece per Ege e McCarthy la sequenza logica è:

Ambiente insicuro –> Conflitto interpersonale –> Mobbing.

Il mobbing, è un fenomeno complesso, difficilmente il motivo scatenante può essere uno solo. Altre definizioni e descrizioni del mobbing fanno riferimento alle valenze sociali, economiche e politiche del fenomeno.

Il sociologo Casilli, per esempio, sottolinea che lo scopo del mobbing è:

“sfruttare a fini produttivi e poi eliminare un dipendente, un lavoratore, un collaboratore. Non importa se è qualificato, motivato e competente, oppure se è un “ramo secco” e non è gradito ai colleghi e ai capi […].

La persecuzione psicologica porta al licenziamento volontario (o imposto) della vittima senza clamore da parte di sindacati e giudici di lavoro”(Casilli, 2000, p. 27).

Le azioni di mobbing possono essere classificate in sei categorie ( Casilli, 2000 ) :

1.“mobbing verbale” e umiliazione (per es., insulti, sarcasmo, rimproveri, ecc.);

2. limitazione della facoltà di espressione della vittima ed eccessi di controllo (per es., impedire di parlare,telefonare continuamente, ispezioni, ecc.);

3. discredito, calunnie e “tranelli” (per es., accuse false pettegolezzi, diffusione di notizie riservate, ecc.);

4. isolamento fisico e professionale (per es., trasferimenti, cambio di mansione, esclusione da occasioni di socializzazione, ecc.);

5. interferenze con gli strumenti di lavoro della vittima (per es., sabotaggio, vandalismo, occultamento di notizie essenziali, ecc.);

6. attentati alla salute fisica e psichica della vittima (per es., persecuzioni, minacce, assegnazione a mansioni pericolose, ecc.).

Scrivi a Igor Vitale