Psicologia dell’emergenza – cosa succede dopo un terremoto o un incidente
La Psicologia dell’emergenza è la disciplina che studia il comportamento individuale, gruppale e comunitario in situazioni di crisi. Nata a partire dai contributi della psicologia militare, della psichiatria d’urgenza e dalla Disaster Mental Health, si è progressivamente sviluppata come insieme di teorie e tecniche d’intervento degli eventi cognitivi, emotivi, relazionali e psicosociali tipici delle situazioni di calamità, disastri ed emergenza/urgenza.
La Psicologia dell’emergenza è un settore interdisciplinare, in quanto ricompone in maniera ampia i contributi della psicologia generale, clinica, sociale, dinamica, ambientale, delle comunicazioni di massa. A differenza di questi settori, che generalmente studiano i processi psichici in condizioni di normalità, la psicologia dell’emergenza si occupa di come tali processi si verificano in situazioni di crisi.
La ricerca nel campo della Psicologia dell’Emergenza è soprattutto ricerca sul campo, basandosi specialmente sulle reazioni che le persone hanno di fronte a grandi stressor, disastri, calamità, situazioni di forte emergenza. Dal punto di vista metodologico, infatti, non è assolutamente etico procurare forte stress ai partecipanti.
Dal punto di vista applicativo, gli psicologi che si occupano di emergenza interagiscono frequentemente con i processi emotivi e traumatici delle persone con cui lavorano; essi sono, dunque, maggiormente esposti al trauma vicariante, e necessitano a loro volta di un supporto o di un auto-supporto al fine di ridurre al minimo il rischio di trauma vicariante.
Forme di psicopatologia risultanti dai disastri
Una recente rassegna di Norris et al. (2002) ha analizzato 160 studi effettuati su disastri, per un totale di più di 60.000 partecipanti. Per confrontare i punteggi ottenuti nei vari studi ha utilizzato una classificazione a quattro livelli di patologia. Solamente in 10 studi è stato trovato un danno minimo, circa il 50% degli studi mostra un livello di danno moderato, il restante 40% ha ottenuto un danneggiamento severo o molto severo. Il livello di danneggiamento severo corrisponde a percentuali di psicopatologia nei partecipanti dal 25% al 50%.
Che i disastri producano psicopatologia è statisticamente chiaro, è meno chiaro invece quail siano le psicopatologia prodotte dai disastri. Sin dalla formulazione del Disturbo Posto Traumatico da Stress (DPTS), questo è stato uno dei principali focus di ricerca. Secondo l’APA (2000), i criteri includono:
1) essere stati esposti ad un evento traumatico o spaventoso;
2) ripetute manifestazioni dell’evento traumatico, solitamente in flashback o incubi;
3) evitamento delle situazione e degli stimoli che possono risvegliare il trauma
4) aumentati livelli di attivazione, difficoltà a prendere sonno, irritabilità, e problemi di concentrazione.
Nella rassegna di Norris et al. (2002) il 68% dei partecipanti ha riportato un PTDS nelle vittime di disastri. Il secondo problema più frequente è risultato essere la depressione (36%) seguita dell’ansia in varie forme (32%). Sono stati ottenuti problemi di salute nel 23% dei casi. Dai dati tuttavia è molto difficile capire se i problemi di salute riportati fossero realistici o basati sulla somatizzazione dell’esperienza di stress. Lo stress è in grado di modulare in maniera significativa il sistema endocrino, riduce in maniera importante la risposta immunitaria facilitando l’insorgenza di problemi di salute.
Secondo Sundin e Horowitz (2003), il tipo di disastro e l’ampiezza del trauma che produce è più predittiva del tipo di patologia rispetto alle caratteristiche della vittima. Più stressante è l’evento, più negative saranno le conseguenze. Tuttavia non è sempre facile identificare quali fattori rendano un evento più o meno stressante.
Alcuni ricercatori identificano le seguenti caratteristiche come dimensioni che identificano il livello di stress determinato da un evento disastroso.
– violenza di massa (Norris et al., 2002);
– esperienza di terrore e orrore (Bolin, 1985);
– Durata del disastro (Baum & Davidson, 1985; Bolin, 1985);
– Non previsione e mancanza di controllo (Baum & Davidson, 1985; Thoits, 1983).
Le teorie psicologiche sulle cause di disturbi come si producano DPTS, depressione, ansia, problemi psicosomatici sono molto varie tra di loro, tuttavia non sono moltissime quelle che identificano esattamente come un disastro possa determinare un danno emozionale.
Una delle cause principali che viene identificata è sicuramente quella dello stress, alcune teorie si basano maggiormente sul sovraccarico fisiologico che lo stress determina (ad es., Selye, 1976), altre sulla mancanza di previsione e controllo dello stress (ad es., Kelly, 1955; Baum & Davidson, 1985; Thoits, 1983), altri sul vero e proprio condizionamento che entra in gioco tra un particolare stressor e altri aspetti della vita, che si evolve nell’evitamento di quello stimolo (Mowrer, 1960).
Fattori di vulnerabilità e di protezione
Una serie di ricerche si focalizza sui fattori che espongono maggiormente le persone agli effetti del disastro (fattori di vulnerabilità) e su quelli che invece proteggono il soggetto da questi effetti (fattori di protezione.
Secondo la ricerca di Norris et al. (2002) è stato trovata una correlazione negativa e significativa tra status socioeconomico e livelli di DPTS. Le persone che vivono in povertà hanno a disposizione meno risorse per attenuare gli effetti del disastro. Una psicopatologia pre-esistente è un fattore di rischio per lo sviluppo di psicopatologia legate la trauma. Alcuni esempi di psicopatologie pre-disastro che facilitano l’insorgenza di patologie legate al trauma riportate da Norris e collaboratori sono i disturbi d’ansia (Asarnow et al., 1999), la depressione (Knight, Gatz & Heller, 2000), l’ideazione suicidaria (Warheit, Zimmerman & Khoury, 1996).
Per quanto riguarda l’età, è stato ottenuto che gli adulti di mezza età sono la fascia di persone che subisce maggiormente gli effetti dello stress. Probabilmente in quanto queste persone devono prendersi cura di sé e della propria famiglia.
Le caratteristiche interne non sono le uniche ad influenzare la suscettibilità a disturbi conseguenti un disastro. Ad esempio, anche la rete sociale influenza la vulnerabilità. La mancanza di supporto sociale, sia percepito che ricevuto (Bromet, 1982; Dougall, Hyman & Hayward, 2001; Sanchez, Korbin & Viscarra, 1995; Udwin, Boyle & Yule, 2000) può determinare un maggiore distress post-disastro.
Nelle statistiche sembra che le donne, a seguito di un disastro, abbiano un’incidenza psicopatologica maggiore rispetto agli uomini. Esistono tuttavia molti fattori di interazione che possono facilitare l’insorgenza di questi disturbi.
Le possibili spiegazioni sono diverse, nelle statistiche, ad esempio appare che le donne hanno mediamente uno status socioeconomico minore rispetto agli uomini e, come abbiamo visto precedentemente, a questo status si associa una maggiore incidenza psicopatologica post-disastro. Esistono inoltre differenze individuali sul modo in cui si reagisce allo stress, e sul modo in cui si attuano strategie di coping. In media le donne conoscono meglio i sintomi psicologici e li riportano abitualmente meglio (Nolen-Hoeksema, 1990), mentre gli uomini tendono a sopprimere le sensazioni di distress psicologico, anche per motivazioni culturali. Come esposto precedentemente, le reazioni maggiormente analizzate in questo studio sono il DPTS, la depressione, l’ansia, i problemi di salute. Gli uomini tuttavia reagiscono con comportamenti diversi come l’abuso di sostanze o comportamenti interpersonali violenti. Le donne, mediamente riportano sintomi legati alla depressione e all’ansia (Myers, Weissman, Tischler, et al., 1984). Gli uomini reagiscono abitualmente con reazioni di coping legate al decision making, le donne reagiscono maggiormente cercando sostegno nella rete sociale (Kawachi and Berkman, 2000; Taylor, Klein & Lewis, 2000), tuttavia, proprio nei disastri ambientali di massa, la donna è più vulnerabile al danneggiamento della rete sociale rispetto all’uomo.
Le donne inoltre, hanno maggiori percentuali di depressione ed ansia precedenti il disastro (Myers et al., 1984), ciò le pone di fronte a un maggiore distress post-disastro.
Come abbiamo scritto in precedenza, esistono tuttavia anche caratteristiche di protezione, qui di seguito una rassegna di caratteristiche che possono fungere da protezione per chi va incontro a un fenomeno stressante.
La resilienza, è un concetto che può essere definito sia come stato interno della persona sia come processo che entra in giorno nelle strategie di coping. Come stato interno spesso si parla di hardiness, oppure, nelle teorie dinamiche di forza dell’Io.
La resilienza non si differenzia dalla capacità della persona di resistere al trauma. Ma è un processo mentale che entra in gioco dopo del trauma.
Un altro fattore che protegge la persona dallo stress è la soddisfazione. Essa, come afferma Locke (1968)è composta da molteplici aspetti, ed è basata sul rapporto costi/benefici.
L’umorismo è un fattore di prevenzione e di ristrutturazione di eventi stressanti. Come affermano Kollr, Overholser, Moran e Massan, la base dell’umorismo è la comunicazione interpersonale che agisce come facilita le relazioni sociali. Il sano umorismo è positivamente correlato con il benessere psicologico; altri fattori correlati sono l’abbassamento della tensione psicologica. In letteratura l’umorismo è considerato come una sorta di espressione dell’aggressività: “l’ aggressione umoristica o l’essere piacevole per i propri fini, consente di esprimere i sentimenti che non potrebbero essere espressi direttamente, o parerei che non poterebbero essere dichiarati diversamente; questa espressione di aggressività può anche portare alla riduzione della tensione che è la vera fonte del piacere (Burgher 1993)”.
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