Teoria della mente: una possibile spiegazione per l’autismo
Teoria della mente e autismo.
Fra le teorie più interessanti, tra quelle elaborate per la spiegazione dell’autismo, vi è la teoria della mente. I primi studi in questo ambito si sono ispirati alle ricerche condotte da Premack e Woodruff allo scopo di verificare la capacità degli scimpanzé di attribuire stati mentali all’uomo e di operare previsioni sulla base di tali inferenze.
Queste ricerche hanno poi suscitato un forte interesse negli psicologi volto ad accertare la presenza di questa abilità anche negli umani.
Questi due autori definiscono la teoria della mente come la capacità di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri, di fare inferenze sulle altrui credenze in relazione a una determinata situazione, permettendo di prevedere ciò che l’altro farà sulla base dei propri stati interni.
Per poter indagare la presenza di una teoria della mente, fondamentale è il compito della falsa credenza elaborato da Wimmer e Penner. Si tratta di un paradigma che può essere utilizzato con bambini molto piccoli nel caso in cui la credenza di un bambino sia diversa da quella di un altro soggetto. Affinché il compito abbia successo occorre che il bambino sia consapevole che diverse persone possano avere differenti convinzioni circa una situazione. La risoluzione di questo compito fornisce la prova più convincente circa la capacità di concepire gli stati mentali dell’altro.
Il compito della falsa credenza è stato poi adattato ad ulteriori formulazioni, tra le quali la più famosa, è la prova di Sally e Ann utilizzata nello studio di Cohen, Leslie e Frith. Il compito ha come protagoniste due bambine Sally ed Ann le quali giocano con una palla. La palla viene lasciata da Sally in una cesta e viene spostata da Ann in un altro contenitore senza che Sally ne sia a conoscenza. Il bambino ha il compito di prevedere dove Sally cercherà la bambola al suo rientro. All’età di tre anni i bambini non sono in grado di risolvere questo tipo di compito che viene portato a termine senza alcuna difficoltà al raggiungimento dei quattro anni.
Tuttavia alcuni autori evidenziano come a due-tre anni i bambini posseggano una buona conoscenza degli altrui stati mentali, siano in grado di gestire ed elaborare rappresentazioni discrepanti rispetto alla realtà, tuttavia non siano in grado di individuare le false credenze.
Secondi gli autori in questo arco di tempo si verifica un’evoluzione delle capacità di metarappresentazione che permette al soggetto di elaborare descrizioni di eventi, sentimenti oggetti che sono a loro volta collegati ad altre rappresentazioni. Nella ricerca di Cohen, Frith e Leslie, furono valutati venti soggetti autistici di età superiore ai quattro anni e venti bambini con sindrome di Down più piccoli. I risultati ottenuti indicarono come sedici bambini autistici su venti falliva nella risoluzione del compito mentre l’86% dei soggetti Down portava a termine con successo il compito della falsa credenza evidenziando come le problematiche legate alla teoria della mente siano tipiche dell’autismo e non associate a ritardo nello sviluppo. La tesi concepita fu che nei bambini autistici esiste un deficit nella teoria della mente e nelle capacità di metarappresentazione e che tale deficit sia alla base delle anomalie nello sviluppo di tipo sociale e comunicativo.
Il soggetto autistico è “cieco” alla credenza che altri soggetti possano avere pensieri, desideri, intenzioni diverse dalle sue. (teoria della cecità mentale).
L’autistico non è in grado di comprendere le strategie di simulazione e di finzione, non si identifica con i desideri, le intenzioni altrui, è incapace di decodificare i segnali sociali che caratterizzano gli atti comunicativi, presenta deficit rilevanti nell’attenzione condivisa intesa come la capacità di condividere con l’adulto una comune fonte di attenzione su oggetti, situazioni, presenti nell’ambiente, con una alternanza dello sguardo che va dall’adulto all’oggetto di condivisione. Difficoltà si manifestano anche nella comunicazione protodichiarativa in cui compare il gesto dell’indicare al fine di orientare lo sguardo del genitore sull’elemento in questione. Anche il gioco di finzione è carente nei soggetti autistici, in quanto sono incapaci di operare simbolizzazione o manipolare le rappresentazioni della realtà. Questi processi possono essere rappresentati come i precursori evolutivi dello sviluppo della teoria della mente.75 Le acquisizioni in questo ambito, grazie anche al numeroso apporto degli studi effettuati, hanno contribuito e tutt’ora contribuiscono a una più accurata conoscenza dell’universo autistico.
di Gaia Baldoni
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