colloquio psicologico dipendenze

Come funziona il colloquio psicologico per il trattamento delle dipendenze

Questo articolo di Anna Di Carlantonio spiega come funziona il colloquio psicologico per il trattamento delle dipendenze.

Il colloquio psicologico, strumento psicologico per superare la dipendenza

Il colloquio psicologico si può descrivere come uno strumento di conoscenza che, ha lo specifico obiettivo di acquisire informazioni e conoscenze relative ad un ambito psicologico, ai fini sperimentali, diagnostici o clinici relativi ad un qualche trattamento[1].

Le modalità di conduzione possono essere attuate in base a diverse metodologie, che variano in base all’ambito in cui si svolge il colloquio, allo stile personale dello psicologo e del soggetto, la problematica in questione, il grado di scolarità e l’età dei partecipanti[2].

Per prima cosa è necessario tenere in considerazione il grado di strutturazione che si sceglie di introdurre che riguarda il grado di libertà nella modalità comunicativa che si concede ai soggetti che partecipano al colloquio, in termini di scambio di contenuti.

In base al grado di strutturazione è possibile fare due distinzioni relativamente all’intervista e al colloquio che possono essere rispettivamente un’intervista strutturata (se il contenuto, la forma e le domande sono predeterminate), un’intervista semistrutturata (se non vengono predeterminate la forma, la successione ed il numero), un colloquio orientato o un colloquio clinico[3]:

Le modalità di conduzione del colloquio psicologico

Altro aspetto importante da tenere in considerazione circa le modalità di conduzione riguarda le strategie che si sceglie di utilizzare, che abbiano lo scopo di iniziare e veicolare la comunicazione dell’interlocutore, favorendone una particolare dinamica relazionale. Tali strategie sono direttamente influenzate dal grado di strutturazione del colloquio e sono caratterizzate da tre differenti concetti, il polo di centratura che riguarda chi gestisce i tempi, i contenuti e l’andamento del colloquio tra lo psicologo e l’interlocutore; la direttività, definita in base alle modalità con cui lo psicologo si pone all’intervistato; lo stile di conduzione che si riferisce al modo di porsi dello psicologo verso il soggetto e può essere duro, amichevole, consultivo e partecipativo. [4]

Un altro aspetto importante relativo al colloquio psicologico riguarda la scelta metodologica che dipende dal tipo di approccio epistemologico utilizzato e influenza la selezione delle tecniche riferite al grado di strutturazione del colloquio e alle modalità di conduzione. La scelta metodologica è fortemente influenzata dalla teoria di riferimento, dall’obiettivo e dalle prospettive del colloquio che possono essere psicometriche, cioè incentrate su un tipo di indagine quantitativa di un determinato fenomeno da analizzare e prediligono un grado di strutturazione alto; cliniche, finalizzate alla raccolta dei dati anamnestici del soggetto e della sua storia clinica e privilegiano un basso grado di strutturazione del colloquio.[5]

Che cos’è il paradigma di riferimento del colloquio psicologico (teoria)

Un altro elemento determinante per lo svolgimento del colloquio è il paradigma di riferimento dello psicologo che riguarda tutte le teorie su cui si basa la sua conoscenza; esso influenzerà il grado di strutturazione del colloquio, le scelte dei metodi e delle tecniche da attuare per raccogliere i dati ed interpretarli[6].

La motivazione è molto importante per la riduzione delle dipendenze

Altro fattore determinante riguarda la motivazione dei partecipanti. È possibile definirla in base al grado di coinvolgimento di entrambi gli attori, che deve essere il più aderente possibile alla volontà di scambiare attivamente informazioni ed incontrarsi con l’altro. Viene fortemente influenzata dallo scopo del colloquio e dal suo ambito applicativo.[7]

A tal proposito, è bene sottolineare due tipologie di motivazione: quella intrinseca che porta il soggetto ad accettare volontariamente lo scambio colloquiale con lo psicologo ed è indispensabile per la buona riuscita del colloquio psicologico, e quella estrinseca, sufficiente per un’intervista di tipo strutturata, in cui l’incontro ed il colloquio avvengono a prescindere da una completa adesione da parte dell’esaminato, ed i temi discussi vengono proposti dallo psicologo[8].

Le differenze tra motivazione conscia e inconscia nel colloquio psicologico

In base alla finalità del colloquio, dal suo contenuto e dalla teoria di riferimento [9] esistono, inoltre, la motivazione basata su fattori cognitvi e/o affettivi e quella conscia o inconscia, tipica della maggior parte dei colloqui. In questo caso, porre in evidenza l’uno o l’altro dipende dal fine ultimo del colloquio e dal paradigma di riferimento.

Infine, è possibile riscontrare un tipo di motivazione autocentrata in cui lo scopo del colloquio si riferisce direttamente alla conoscenza di sè o eterocentrata che riguarda una problematica esterna al soggetto.

Per raggiungere la buona riuscita di un colloquio, è indispensabile che l’esaminatore abbia una solida conoscenza relativa ai processi linguistici verbali e non verbali.

Le differenze tra linguaggio verbale e non verbale

Nello specifico, il linguaggio verbale riguarda quel tipo di comunicazione fatta da suoni articolati e organizzati in parole dotate di significato, che esprimono concetti, pensieri e relazioni tra diversi aspetti. Il linguaggio verbale è digitale se basato su significati convenzionali delle parole, ordinate nel discorso attraverso regole sintattiche e grammaticali ben determinate in base alla lingua di appartenenza. Di contro, è di tipo analogico quando la sua comprensione è basata su esperienze condivise da un particolare contesto sociale e culturale[10].

Per ciò che concerne il linguaggio non verbale, questo è in prevalenza analogico e riguarda tutti i gesti, le espressioni del viso, l’aspetto fisico, il modo di sedersi, la postura, l’orientamento nello spazio, gli atteggiamenti, la prosodia della voce, il vestiario che accompagnano un dialogo e che ci permettono di comprendere qualcosa sulle modalità comunicative e relazionali del soggetto e del suo stato mentale in quel determinato momento, in relazione possibilmente con i contenuti emersi durante il colloquio[11].

In conclusione, vi è un altro aspetto da considerarsi tra quelli determinanti circa l’andamento e lo sviluppo del colloquio, ossia il setting. Con tale espressione, ci si riferisce allo sfondo e al contesto, fisico e non, in cui avviene il colloquio.

Bibliografia sul colloquio psicologico

[1] Del Corno F., Lang M. (A cura di). Elementi di psicologia clinica. Milano: Franco Angeli, 2005.

[2] Baldaro B., Baldoni F., Ravasini C. Il colloquio clinico. In G. Trombini (A cura di). Introduzione alla clinica psicologica. Bologna: Zanichelli, 1998.

[3] Trentini G. (A cura di). Manuale del colloquio e dell’intervista. Torino: UTET, 1995.

[4] Lis A., Venuti P., De Zordo M.R. Il colloquio come strumento psicologico. Firenze: Giunti, 1991.

[5] Ibidem.

[6] Giovannini D. ( A cura di) Colloquio psicologico e relazione interpersonale. Roma: Carocci, 1998

[7] Baldaro B., Baldoni F., Ravasini C. Il colloquio clinico. In G. Trombini (A cura di). Introduzione alla clinica psicologica. Bologna: Zanichelli, 1998.

[8] Quadrio A. Il colloquio in psicologia. Bologna: Il Mulino, 1997.

[9] Giovannini D ( A cura di) Colloquio psicologico e relazione interpersonale. Roma: Carocci, 1998.

[10] Giovannini D ( A cura di) Colloquio psicologico e relazione interpersonale. Roma: Crrocci, 1998.

[11] Quadrio A. Il colloquio in psicologia. Bologna: Il Mulino, 1997

Articolo sul colloquio psicologico dipendenze è di Anna Di Carlantonio.

Scrivi a Igor Vitale