Come Riconoscere il Trauma e la Dissociazione nel Bambino

 

Da osservazioni cliniche, emerge sempre più chiaramente che vi è una correlazione molto stretta tra le storie di sviluppo traumatico e la dissociazione. I due concetti di trauma e dissociazione in psicopatologia sono strettamente collegati, non solo in un’ottica di causa-effetto (sviluppo traumatico e sintomi o disturbi dissociativi), ma soprattutto nel meccanismo patogenetico del trauma.

Quest’ultimo attiva meccanismi di difesa dalla minaccia ambientale che determinano un distacco dell’esperienza di sé e del mondo a cui seguono sintomi dissociativi. Ciò comporta un arresto nell’utilizzo delle capacità metacognitive e un ostacolo nell’integrazione del trauma con il normale svolgimento della vita psichica. La dis-integrazione deriva dalla frammentazione delle rappresentazioni di sé, ossia una non integrazione degli stati dell’io, che caratterizza la dissociazione patologica.

I Sintomi Dissociativi

I processi disintegrativi possono avere una sintomatologia molteplice che prevede:

  • derealizzazione
  • depersonalizzazione
  • confusione mentale
  • stati di trance e possessione
  • stati di assorbimento
  • attenzione divisa
  • amnesia psicogena
  • ricordi intrusivi
  • difficoltà ad organizzare le narrazioni
  • confusione e/o alterazione del senso di identità
  • io multiplo e non integrato
  • gravi difficoltà a regolare lo stato emotivo.

I sintomi possono essere suddivisi in sintomi di distacco e sintomi di compartimentazione. I primi si riferiscono all’esperienza di sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo, distaccati da se stessi, c’è un dismorfismo corporeo, ossia la modificazione dell’immagine corporea, c’è un’alterazione dell’esperienza cosciente di sé, una perdita della consapevolezza di essere agenti delle proprie azioni e di avere il controllo su di esse (si sentono come spettatori delle azioni che compiono e sdoppiati, il soggetto non agisce, ma è agito).

I secondi riguardano la coscienza in terza persona, o coscienza di accesso, perché le sue componenti sono per lo più verbali o rappresentati in modo cosciente da immagini mentali, a cui si accede attraverso la parola. Esempi sono l’amnesia dissociativa, in cui il ricordo è reso inaccessibile a causa della dissociazione in atto) e gli stati dell’io non integrati (in cui viene impedita la sintesi dei significati che forniscono coerenza alla narrazione di eventi autobiografici e alle diverse rappresentazioni di sé).

Sono state effettuate diverse diagnosi del DSM che hanno in origine storie traumatiche con conseguenti sintomi dissociativi, ma nonostante ciò è ancora incerto, secondo alcuni studiosi, se le memorie traumatiche abbiano un ruolo effettivamente decisivo nei disturbi dissociativi.

Sebbene ci siano diverse difficoltà, sulla base dei dati esistenti, si può ritenere certa la presenza del trauma nell’eziologia di alcuni disturbi come:

Una delle domande che ci si pone è se la dissociazione sia connessa al trauma in modo uni fattoriale, ossia che non può esserci dissociazione senza trauma e il trauma non può esercitare il suo effetto patogeno se non attraverso la dissociazione, o se esista un modello multifattoriale in cui memoria traumatica e dissociazione siano indipendenti fra loro nell’esercitare la propria azione patogena. Liotti chiarisce questo problema, affermando che:

“se la dissociazione può apparire come manifestazione della riattivazione di un MOI (Modello Operativo Interno) di attaccamento disorganizzato, e se il trauma genera dissociazione soprattutto (o forse soltanto) determinando il collasso delle strategie controllanti, è possibile che sintomi dissociativi compaiano in assenza di traumi evidenti, come effetto di altre influenze capaci di invalidare le suddette strategie. Per esempio, potrebbe innescare processi e sintomi dissociativi non solo un trauma, non solo un’esperienza che invalidi una strategia controllante, ma anche la durevole e intensa stimolazione del sistema di attaccamento (e dunque del MOI disorganizzato, eventualmente connesso al sistema) che si verifica all’interno di una nuova e desiderata relazione affettiva. Se tale ipotesi è corretta, esiste la possibilità che un MOI disorganizzato derivante dalla DA (disorganizzazione dell’attaccamento) precoce non si manifesti per anni, tenuto addormentato dalle strategie controllanti, grazie all’assenza di traumi successivi e di eventi invalidanti le strategie controllanti nel corso dello sviluppo, per poi risvegliarsi determinando la comparsa di sintomi dissociativi, come effetto di contingenze nient’affatto traumatiche. Ne seguirebbe, nelle ricerche che indaghino solo sintomi dissociativi da una parte, e dall’altra memorie traumatiche esplicite (non quelle inevitabilmente implicite della DA), la possibilità di osservare legami statici incerti e contraddittori fra le due variabili. (Liotti, 2011, p 128)

Uno dei quadri clinici dissociativi si presenta nel DBP (Disturbo Borderline di Personalità), caratterizzato da gravi difficoltà relazionali, dipendenza, impulsività, deficit di regolazione affettiva e problemi dell’identità. Sono molto frequenti nei pazienti DBP i sintomi dissociativi, in quanto, in coloro che ne sono affetti, è in atto una disintegrazione della struttura della personalità. L’eziologia del DBP è stata ricondotta al trauma relazionale precoce in seguito al quale si attua nell’individuo uno sviluppo traumatico; vengono particolarmente sottolineati casi di abuso, maltrattamento e trascuratezza e una elevata comorbidità con il PTSD. I due disturbi presentano molte caratteristiche in comune, ad esempio i pazienti hanno convinzioni negative su di sé, il timore di poter ferire e danneggiare gli altri; c’è in entrambe i disturbi un’associazione con disturbi d’ansia e dell’umore, difficoltà terapeutiche, ricadute frequenti e un alto tasso di suicidi.

Occorre però operare una distinzione e considerare diversamente due tipi di esperienze infantili: da un lato la disorganizzazione dell’attaccamento nei primi due anni di vita, dall’altro i traumi fisici e sessuali negli anni seguenti. Il trauma infantile cronico, risultato da ripetute esperienze di maltrattamento e abuso durante lo sviluppo, ha effetti diversi rispetto all’attaccamento disorganizzato, in cui il bambino sperimenta una fragilità della figura di accudimento che non è maltrattante, ma solo vulnerabile, per cui sperimenta una paura come effetto del contagio emotive, e non di un’aggressione. Questa seconda tipologia di relazione potrebbe condurre a un disturbo DBP, il primo invece si ricollega al ben più complesso DPTP (disturbo post traumatico di personalità) che si suddivide in due sottotipi, disorganizzato e organizzato, a seconda che al trauma si associ o meno la disintegrazione. All’interno di ciascuno di questi disturbi sono presenti modalità relazionali precoci di natura traumatica, ciò in cui si distinguono è la durata dei sintomi post-traumatici e il grado di disintegrazione.

Talvolta le memorie traumatiche vengono sottaciute dal paziente, capita perciò spesso che il trauma relazionale precoce emerga attraverso elementi biografici indiretti che facciano riferimento all’indisponibilità emotiva del caregiver. Per elementi biografici si intendono tutti gli eventi quali lutti e malattie che hanno colpito il caregiver prima della nascita del paziente e nei primi periodi del suo sviluppo, e le condizioni di vita negative che si sono ripercosse su un altro familiare convivente. Ci sono, oltre questi fattori, altri campanelli d’allarme per una relazione precoce traumatica, come ritmi lavorativi intensi del genitore, violenza domestica, patologie psichiatriche, degrado sociale, conflittualità tra i genitore. Dunque, durante il racconto della storia infantile del paziente, il terapeuta dovrà porre anche attenzione alla modalità narrativa degli eventi, se questa si presenta confusa e difficile da ricostruire è possibile che ricordi traumatici stiano subentrando nel racconto; è importante che il clinico chieda di descrivere situazioni concrete riferite a eventi specifici e circoscritti riportati dal paziente. La situazione però non deve essere forzata, perché sebbene si richiedano elementi significativi per la terapia, la rievocazione di questi stessi elementi potrebbe mettere in difficoltà il paziente, andando a ledere l’alleanza terapeutica. Altro elemento di interesse dal quale il terapeuta deve ben guardarsi nella ricostruzione della storia del paziente, sono le false memorie, in quanto la scarsa fiducia in sé, nella propria capacità di ricordare, il voler compiacere il terapeuta inducono alla formazione di falsi ricordi.

La psicopatologia dissociativa è spesso una psicopatologia nascosta, nel senso che i pazienti non sempre sono in grado di riconoscerla e raccontarla spontaneamente, in quanto il paziente non ha la possibilità di rievocare da sé i suoi comportamenti se nessuno glieli ha nominati o se non hanno lasciato tracce tangibili. I sintomi di depersonalizzazione, invece, sono a volte perturbanti e terrorizzanti a tal punto che il paziente evita di porvi l’attenzione necessaria per poterli riferire. Gli stati di non integrazione dell’Io possono emergere in terapia anche dopo anni attraverso un’attenta osservazione degli atteggiamenti del paziente che a volte si dimostra confuso e contraddittorio anche con l’espressione facciale. Nel percorso di terapia è importante che il clinico incoraggi il paziente fin dalle fasi iniziali del trattamento per evitare un’interruzione prematura della terapia.[1]

[1] Liotti G.- Farina B., Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2011

di Federica Visconti

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