Test per misurare l’empatia

Il legame tra empatia e mindfulness

Cosa significa empatia e come si misura

 

Silvia Bernardi

Il concetto di responsività alle esperienze altrui è presente in letteratura da oltre 200 anni e, fin dagli inizi, si è ipotizzata una natura multidimensionale di questo fenomeno: Smith (1759), come anche Spencer (1870), ad esempio, avevano proposto una distinzione tra la simpatia istintiva (o empatia), descritta come una reazione istintiva, emotiva e involontaria ad esperienze vissute da altri, e la simpatia intellettiva (cognitiva), intesa come capacità di riconoscere e comprendere le esperienze emotive altrui senza provarle in prima persona, in modo vicario.

Tale distinzione è rimasta quasi inalterata fino in tempi recenti, portando gli studiosi, però, a focalizzarsi esclusivamente su un aspetto o l’altro: nei primi anni del ‘900, infatti, l’enfasi era posta principalmente sul lato emotivo, sul modo in cui avviene una sorta di condivisione delle emozioni, mentre dagli anni ’30 in poi l’interesse si è spostato sul versante cognitivo. Autori come Piaget (1932), Mead (1934), Dymond (1949-50) hanno influenzato fortemente questo cambio di prospettiva, interessandosi al modo in cui si percepisce e si comprende il vissuto altrui assumendo il suo punto di vista.

In anni più recenti è aumentato nuovamente l’interesse per l’aspetto emotivo (Mehrabian e Epstein, 1972), ma soprattutto è nata una nuova corrente di pensiero che considerava l’aspetto emotivo e quello cognitivo come due componenti interdipendenti di un unico costrutto, che poteva essere compreso appieno solo considerando tali aspetti contemporaneamente: i primi risultati a favore di questa teoria integrativa sono riscontrabili in Coke e colleghi (1978) e Iannotti (1979).

Una volta raggiunto un certo grado di accordo sul fatto che l’Empatia fosse un costrutto complesso e multidimensionale, gli studiosi hanno iniziato ad interrogarsi sulle caratteristiche che avrebbe dovuto avere lo strumento atto a misurarla. Ciò che era necessario era uno strumento che permettesse di ottenere misure separate della capacità cognitiva di un individuo di assumere il punto di vista di un’altra persona e della reattività emotiva di tale individuo ad un’esperienza altrui: solo attraverso una valutazione separata del contributo che ognuno di questi due aspetti può dare, infatti, si possono valutare i reali effetti dell’Empatia sul comportamento e sulle reazioni degli individui.

Pur riconoscendo la multidimensionalità del costrutto, però, molti studiosi non ne hanno tenuto effettivamente conto nel costruire gli strumenti di misura: questi, infatti, pur contenendo item relativi sia all’aspetto emotivo sia all’aspetto cognitivo, alla fine prevedevano un unico punteggio derivante dalla somma di tutti gli item, rendendo impossibile la valutazione del peso di ognuna delle due componenti, prese singolarmente, sul comportamento delle persone.

In conseguenza a tali convinzioni i vari autori hanno proposto la propria versione di questionario di valutazione dell’Empatia: Mehrabian e Epstein (1972) hanno costruito il QMEE (Questionnaire Measure of Emotional Empathy), che valuta la tendenza ad avere risposte emotive in relazione alle esperienze altrui; Hogan (1969) ha costruito l’HES (Hogan Empathy Scale), volto a rilevare l’esperienza cognitiva di assunzione del punto di vista altrui; Davis (1980), sposando l’approccio multidimensionale, ha proposto l’IRI (Interpersonal Reactivity Index), che rileva 4 diversi aspetti dell’Empatia.

Nel dettaglio, Davis (1980) postula l’esistenza di quattro sottoscale:

- assunzione di prospettiva: gli item appartenenti a questa sottoscala fanno riferimento alla capacità delle persone di adottare il punto di vista di un’altra persona, e quindi esprimono l’aspetto cognitivo dell’Empatia;

- preoccupazione empatica: in questa sottoscala gli item si riferiscono alla tendenza di una persona ad esperire sentimenti di calore umano, compassione e preoccupazione per un’altra persona;

- distress: gli item di questa sottoscala rimandano ai sentimenti di ansia e incapacità di gestione della situazione che vengono provati in prima persona quando si assiste ad un’esperienza negativa o dolorosa vissuta da un altro individuo;

- fantasia: in questo caso gli item rimandano alla tendenza di alcuni individui ad identificarsi fortemente con personaggi di invenzione presenti in film, libri o giochi.

I risultati delle quattro scale non vengono sommati alla fine, perché si tratta di quattro aspetti diversi e separati, che hanno diversi modi di interagire con le altre variabili (Cliffordson, 2002): ad esempio la preoccupazione empatica correla con risposte di tipo emotivo, che a loro volta sono strettamente collegate alla messa in atto di comportamenti di aiuto, mentre l’assunzione di prospettiva non correla né con le reazioni emotive né con l’attuazione di comportamenti di aiuto.

I risultati di numerose ricerche hanno evidenziato come gli effetti positivi dell’Empatia possano essere riscontrabili in numerosi ambiti, oltre a quello clinico in cui si è dimostrata in grado di ridurre i livelli di depressione: gli studenti con elevati livelli di Empatia, ad esempio, mostravano di avere migliori capacità di relazionarsi agli altri e minor aggressività; in molti casi ha evidenziato forti correlazioni positive con l’altruismo e la messa in atto di comportamenti di aiuto; nelle coppie è in grado di elicitare atteggiamenti utili al bene della coppia e di far comprendere più facilmente i sentimenti dell’altro, oltre ad essere un buon predittore di riduzioni nel numero dei divorzi (Block-Lerner e colleghi, 2007).

L’Empatia, come evidenziato da diversi studi, viene promossa e aumentata dai protocolli di intervento basati sulla Mindfulness: Shapiro e colleghi (1999) hanno dimostrato che un programma MBSR di 8 settimane è riuscito ad abbassare i livelli di ansia e distress e ad aumentare i livelli di Empatia in alcuni gruppi di studenti: Carson e colleghi (2004) hanno modificato il protocollo MBSR aggiungendo esercizi specifici per promuovere l’intimità e la conoscenza reciproca nelle relazioni, e hanno ottenuto un aumento della soddisfazione, dell’ottimismo, dell’accettazione reciproca ed è lecito pensare che questi risultati siano dovuti ad un aumento della capacità di condividere le emozioni dell’altro e di guardare le cose dal suo punto di vista.

Block-Lerner e colleghi (2007) hanno indagato il modo con cui gli approcci basati sulla Mindfulness possano facilitare i processi di assunzione di prospettiva e di preoccupazione empatica. Poiché la Mindfulness è in grado di elicitare una maggior consapevolezza dei propri sentimenti e questa, a sua volta, permette di riconoscere in anticipo le cause e il tipo di effetti che questi sentimenti possono avere, si può comprendere quanto questa capacità possa essere utile per favorire la comprensione di reazioni e emozioni altrui. La Mindfulness, inoltre, rendendo le persone più consapevoli del momento presente, permette anche di riconoscere la propria tendenza a preoccuparsi eccessivamente del passato o del futuro,come spesso avviene durante un litigio, e consente di eliminare questi pensieri e di prestare maggiore attenzione al modo in cui il proprio atteggiamento influisce sull’altro. Il processo in questione, però, è bidirezionale: non solo la meditazione e la pratica della Mindfulness possono aumentare i livelli empatici di una persona, ma anche il fatto di preoccuparsi empaticamente o di guardare le situazioni dal punto di vista altrui sono in grado di migliorare la consapevolezza di sé e la comprensione delle proprie esperienze esterne e interne.

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https://www.igorvitale.org/2014/01/15/corso-in-ipnosi-cii-a-roma-e-milano/

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