L’importanza della terapia personale per lo psicoterapeuta
Un’indicazione riguardo l’importanza conferita alla terapia personale possiamo ricavarla da alcuni dati che rappresentano le percentuali dei terapeuti che pur facendo parte di orientamenti differenti si sottopongono a terapia personale. Un esempio da citare può essere lo studio di Daw e Joseph (2007), in cui due terzi dei terapeuti dichiara di aver fatto una TP (Mancini & Perdighe, 2010, p.1).
Altre ricerche condotte sui terapeuti riguardo le loro opinioni ed esperienze, indicano che anche i terapeuti stessi, non solo i formatori, attribuiscono un valore rilevante alla terapia personale nel training psicoterapico.
Possiamo elencare una serie di funzioni che generalmente vengono attribuite alla terapia personale, tali funzioni sono prese in considerazioni come basilari per l’inserimento della terapia personale nella formazione degli psicoterapeuti:
- la terapia personale riduce il disagio professionale e quindi favorisce la stabilità emotiva del terapeuta;
- la terapia personale aumenta la consapevolezza degli aspetti personali che possono interferire con il lavoro;
- la terapia personale offre un’occasione di apprendimento attraverso l’osservazione diretta (comprensione dei principi di cambiamento e padroneggiamento delle tecniche);
- la terapia personale aumenta la fiducia nell’efficacia della terapia;
- sperimentarsi nel ruolo di paziente aumenta l’empatia e l’attenzione ai bisogni del paziente” (Mancini & Perdighe, 2010, p. 2).
Data l’ipotesi che ogni terapeuta è in possesso di abilità e qualità personali, che risulteranno indispensabili per offrire una buona performance durante la pratica clinica, appare rilevante la questione di inserire la terapia personale nei programmi di formazione, in quanto significherebbe garantire tramite questa, nel modo migliore, l’apprendimento di tali qualità e abilità e l’elevata prestazione del futuro terapeuta.
Detto ciò appare rilevante anche un altro tema e cioè chiarire quali sono queste abilità e qualità di cui parliamo. Possiamo spiegare questo punto in questo modo: “una buona formazione è garantita dall’apprendimento di conoscenze e abilità pratiche, che si acquisiscono con studio e lezioni teoriche e con l’addestramento; le abilità apprese, però, si espletano all’interno di una relazione con un’altra persona e la loro efficacia è mediata da abilità “relazionali” e qualità personali del terapeuta” (Mancini & Perdighe, 2010, p. 5).
Dopo aver fatto presente ciò, risulta poco chiaro quali siano queste qualità personali e relazionali del terapeuta, che incidono positivamente sulla prestazione.
Dunque, partendo dalle intuizioni di Freud, secondo cui la prestazione del terapeuta possa essere influenzata da variabili personali, la terapia personale entra qui in scena, in quanto, ad essa potrebbe essere attribuita un’importante funzione (Mancini & Perdighe, 2010, p. 5). All’interno del processo terapeutico, l’alleanza terapeutica rappresenta una componente fondamentale, insieme ad una serie di altri costrutti interpersonali (come le caratteristiche del terapeuta, la dimensione empatica, le caratteristiche del paziente, il tipo di attaccamento paziente-terapeuta, ecc.).
Alcune caratteristiche e comportamenti del terapeuta sono associati negativamente con la qualità dell’alleanza (per es., la rigidità, l’essere critici). E’ necessario, quindi, porre l’accento sulla capacità del clinico di gestire e negoziare la relazione. È infatti probabile che non siano queste caratteristiche del clinico in sé a incidere negativamente sulla qualità della relazione, ma piuttosto sono aspetti che possono influire indirettamente sulla qualità dell’alleanza: di fronte ad una rottura nell’alleanza o ad un’empasse, il terapeuta può aumentare o irrigidire l’aderenza alla propria tecnica o modello di riferimento, non riuscendo così a riparare la rottura o, anche, esacerbando l’empasse. Per cui, la qualità dell’alleanza terapeutica è dovuta all’interazione tra variabili diverse che chiamano in causa sia il paziente sia il terapeuta (De Bei,
Colli & Lingiardi, 2007).
La condotta del terapeuta e del paziente è guidata da pattern relazionali inconsci, da aspetti emotivoaffettivi non consapevoli. Questi pattern relazionali disadattavi possono creare molti problemi all’interno dell’alleanza terapeutica sia nei pazienti che nei terapeuti, perciò riconoscerli e imparare a gestirli è fondamentale in una psicoterapia. Una volta che si è fatta conoscenza degli aspetti personali disfunzionali, entra in gioco la terapia personale che può essere definita come un ottimo rimedio per comprendere come questi modelli relazionali disadattavi interagiscono con quelli del paziente.
Inoltre il tema del controtransfert è di particolare importanza all’interno di un’alleanza terapeutica e per poter comprendere l’analisi personale. Il controtransfert può essere definito come una serie di reazioni interne ed esterne di uno psicoterapeuta nei confronti di un paziente, che sono influenzate dalle vulnerabilità personali del terapeuta e dai suoi conflitti irrisolti.
Questi, quindi, sono legati alla probabilità di effetti antiterapeutici di controtransfert, che a loro volta sono associati agli esiti dei pazienti. I terapeuti che imparano a gestire con successo il loro controtransfert, possono usare le loro reazioni per ottenere una migliore comprensione del loro lavoro con i pazienti. Dato che, quindi, la gestione del controtransfert sembra promuovere il successo del trattamento e il funzionamento positivo del paziente, terapeuti sono invitati a gestire le reazioni di controtransfert interne, in modo che gli sia impedito di manifestare determinati comportamenti in seduta.
Perciò, i terapeuti sono incoraggiati a risolvere i loro conflitti personali attraverso la terapia individuale, supervisione clinica, o entrambi (Hayes, Gelso & Hummel, 2011).
Poiché “ogni psicoanalista procede esattamente fin dove glielo consentono i suoi complessi e le sue resistenze interne”, per potersi servire “del suo inconscio come di uno strumento per l’analisi”, il medico deve sottoporsi a una “purificazione psicoanalitica”, che in un primo tempo Freud ritiene attuabile attraverso l’autoanalisi. Successivamente, è proprio la constatazione dell’inevitabilità del controtransfert, la scoperta dei potenziali ostacoli rappresentati dalle rimozioni e dagli affetti non padroneggiati dell’analista, ad indurlo a porre l’analisi personale del futuro analista come la base della formazione: infatti, solo se “purificato”, l’analista potrà “come una lastra di specchio mostrare [al paziente] soltanto ciò che gli viene mostrato” (Ruggiero, 2013).
Proseguendo, tra le possibili funzioni della terapia personale possiamo menzionarne un’altra, relativa all’apprendimento da parte del futuro terapeuta di quelle abilità necessaria per il suo futuro lavoro, e di quelle qualità personali e relazionali, che se non sono sufficientemente sviluppate, è utile che si incrementino. Questo perché, è intuitivo immaginare che sia indispensabile il possesso da parte del terapeuta di determinate qualità relazionali, in quanto in mancanza di queste, risulterebbe difficile un lavoro terapeutico efficace. Dato che, le proprie abilità di cura si esauriscono all’interno della relazione terapeutica, risulta chiaramente essenziale che il terapeuta sia in possesso delle abilità necessarie per costruire e conservare un determinato contesto relazionale con il proprio paziente.
Una terza possibile funzione che potremmo attribuire alla terapia personale è la cura dei disturbi psicopatologici che potrebbero investire il terapeuta. E’ un luogo comune infatti che se un terapeuta è gravato dal peso di un disturbo, di conseguenza la sua prestazione lavorativa ne risente gravemente.
La conclusione risulta essere: l’ipotesi diffusa che ci sia un legame ben consolidato tra i disturbi psicopatologici del terapeuta e la qualità della prestazione offerta al proprio paziente. Di conseguenza l’unica soluzione per porre rimedio alla qualità del proprio lavoro e alle difficoltà associate ad esso, a causa del disagio psicologico del terapeuta, può essere soltanto una: la cura di quel disagio. Agire prontamente sui disturbi del terapeuta migliorerebbe di conseguenza le prestazioni di quest’ultimo.
Poste queste basi la terapia personale all’interno di un percorso di formazione, si delinea come il rimedio più efficace per raggiungere lo scopo prefisso (Mancini & Perdighe, 2010).
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