Neuromarketing e scelte economiche

di Ilaria Polidori

Questo tipo di approccio, prende le mosse da alcuni risultati cui è giunto A. Damasio, uno dei maggiori neurologi contemporanei, nel suo libro “The Dascartes Error” (1995). Egli ritiene che vi sia una differenza fondamentale fra ragion pura e ragion pratica. La prima viene utilizzata di fronte ad un problema astratto che non rientra nella sfera personale del decisore, quale può essere per esempio la risoluzione di un teorema matematico; la seconda viene utilizzata di fronte a problemi concreti che rientrano nelle scelte personali di ciascuno, come per esempio decidere di iscriversi ad una facoltà universitaria, o decidere di effettuare un investimento.
Ora, se si affronta l’analisi dei processi decisionali degli uomini comuni (e non degli uomini di scienza), è chiaro che oggetto della nostra attenzione deve essere la ragion pratica.
Ma quest’ultima è ben lungi dal poter essere spiegata facendo riferimento ai principi della psicologia cognitiva e basta.
Certo la teoria del decision–making ci ha fornito interessanti e in gran parte valide risposte a molti interrogativi che la teoria
ortodossa aveva posto, tuttavia è ancora troppo semplicistica per riuscire a spiegare come molte volte gli individui siano in grado in poco tempo di prendere decisioni, anche molto complesse, che spesso, anche se non sempre, si rivelano corrette e vantaggiose. Il motivo sta nel fatto che il comportamento individuale risponde a criteri molto complessi. Ed è qui che entra in gioco la neurobiologia.
Essa postula che il processo di decision-making degli agenti economici (come di qualunque altro agente) non dipende solo ed
esclusivamente da caratteristiche psicologiche, bensì da precisi aspetti neurologici.
Due in particolar modo sono gli aspetti che influenzano il processo:
1) il fatto che le decisioni dipendano oltre che da aspetti psicosociali, anche da aspetti cerebrali, in assenza dei quali
l’azione non si verifica.
2) Il fatto che la capacità individuale di pianificare le proprie azioni economiche dipende da meccanismi cerebrali, aventi
natura biologica, detti “marcatori somatici”.
Il processo funziona più o meno così: i marcatori somatici, se registrano un pericolo in qualcuna delle opzioni che si sta
valutando, lo trasmettono alla corteccia prefrontale, sede della pianificazione razionale, inducendo il soggetto alla prudenza.
Esistono tuttavia individui, con determinate caratteristiche neurologiche, in cui tale meccanismo è alterato. Si tratta di
individui che presentano una leggera lesione del cervello, che impedisce loro di esercitare la prudenza quando le circostanze lo richiedono, in particolare nei rischi connessi con le decisioni economiche. Essi sono detti “individui prefrontali”.
Il ruolo dei marcatori somatici nell’ambito della decisione induce a focalizzare l’attenzione sull’importanza dei sentimenti in questo tipo di processo.

I marcatori somatici sono messi in moto da emozioni che generano delle vere e proprie sensazioni di natura fisica spiacevoli che mettono il soggetto in guardia dallo scegliere talune alternative, invogliandolo altresì verso altre. E’ un vero e proprio campanello d’allarme automatico che induce il soggetto ad abbandonare una data opzione, riducendo così il numero delle alternative considerate: è in tal modo che si opera uno screening immediato delle varie alternative.
Ed è proprio a questo che servono i marcatori somatici: non si vuole cioè dire che non si usi un processo di ragionamento nello scegliere fra varie opzioni, ma solo che tale processo è reso più efficiente e preciso grazie allo screening iniziale operato dai marcatori somatici.
Questi ultimi, per la gran parte, si creano nel nostro cervello tramite il processo di istruzione e socializzazione, ma anche e
soprattutto attraverso l’esperienza.
Tutti questi fattori, insieme, fanno sì che si crei un sistema di preferenze interne che verrà poi utilizzato nei processi di
decisione dell’individuo.
Tuttavia il fatto che l’esperienza soggettiva sia un fattore determinante nel funzionamento dei processi neurobiologici non è
senza conseguenze dal punto di vista di una teoria che si proponga di essere predittiva. La differenza individuale non può che essere un ostacolo alla creazione di modelli d’azione omogenei. D’altra parte però, l’approccio neurobiologico è in grado di gettare luce su alcune componenti di irrazionalità considerate in alcuni modelli, soprattutto nelle situazioni in cui i comportamenti irrazionali sono dettati da condizionamenti di tipo emotivo.
Si pensi per esempio all’effetto framing messo in luce da Kahneman e Tversky nell’ambito della “Prospect Theory”:
l’importante influenza dei marcatori somatici nei processi di scelta, e in particolare la loro dimensione emotiva, è in grado di spiegare i motivi per cui si determinano fallimenti della razionalità anche solo modificando il modo con cui le opzioni sono messe a confronto.
Questi fallimenti sono dovuti, oltre che a limiti computazionali della mente umana, anche all’influenza di questi impulsi emotivi di cui conosciamo ora la natura e il ruolo.
Ma la rilevanza dell’approccio neurobiologico non si arresta qui. Esso è in grado di estendere la sua influenza anche a tutti quei modelli che si basano sui processi di apprendimento. Infatti se si parte dal presupposto che i processi di apprendimento sono differenti (neurobiologicamente) da individuo a individuo risulta indispensabile rivedere i risultati tipici di alcune teorie basate su quei processi.
Si consideri per esempio la teoria evolutiva o la teoria dei giochi: esse per essere valide dovrebbero assumere che i soggetti
siano caratterizzati da identiche, o molto simili, strutture neuronali, poiché se vi sono differenti strutture neuronali, (come dimostra l’evidenza empirica), il comportamento non è predicibile e, in ogni caso, risulta significativamente diverso da come viene descritto nell’ambito di quei modelli.

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