trauma e stili di attaccamento

Trauma e stili di attaccamento

Come si relazionano trauma e stili di attaccamento? In che modo il comportamento dei genitori può favorire un trauma nel bambino? Ce lo spiega Daniela Moschetto in questo dettagliato riassunto su trauma e stili di attaccamento

Uno stile di attaccamento inadeguato facilita il trauma nel bambino

Il trauma è considerato come un effetto cronico di trascuratezza emotiva e di maltrattamento perpetuate sin dall’infanzia dal caregiver.

La madre regola gli stati emotivi del bambino così come i segnali affettivi provenienti dal bambino regolano l’affettività e il comportamento della madre.

La mentalizzazione del bambino

Peter Fonagy (2002) ha proposto il costrutto di mentalizzazione: questa risulta essere la capacità di saper leggere gli stati mentali che stanno dietro un comportamento proprio o altrui. Di conseguenza è nel contesto di una relazione di attaccamento sicuro che il bambino sviluppa un Sé riflessivo capace di identificare, di nominare e modulare le emozioni.

Traumi come abusi sessuali e maltrattamenti fisici determinano un indebolimento della mentalizzazione che può generare una vulnerabilità nella capacità di resilienza a traumi successivi.

La definizione di attaccamento traumatico

Jon Allen, Fonagy e Antony Bateman (2010) hanno formulato il costrutto di attaccamento traumatico per identificare nel bambino l’internalizzare stati mentali che non stabiliscono con il Sé psicologico connessioni di significato, questo alimenta la sensibilità allo stress e i sintomi post-traumatici sarebbero espressione di una riattualizzazione di stati psichici associati al trauma precoce.

La tendenza alla riattualizzazione al posto del ricordo, risulterebbe a sua volta dal fallimento della mentalizzazione.

Come curare il Disturbo Post Traumatico da Stress (DPTS)

Obiettivo del trattamento del DPTS è aiutare la persona a sviluppare le capacità di mentalizzare il trauma e di sostituire il ricordo alla riattualizzazione di questo.

John Bowlby (1938) sostiene che l’attaccamento fra infante e caregiver si manifesta in un sistema comportamentale il cui fine è sia sociale capace di offrire al bambino un background di sicurezza e di protezione che garantisca lo sviluppo di un adattamento adeguato alle relazioni interpersonali future attraverso la formazione di una buona autostima e autonomia, sia emotivo attraverso la maturazione di sistemi di elaborazione metacognitiva dei vissuti emotivi e relazionali.

Le ricerche sull’attaccamento evidenziano il ruolo della relazione caregiver-bambino nello sviluppo delle capacità di esplorare l’ambiente, di regolare le emozioni, di attuare strategie di coping e di resilienza adeguate in situazioni di stress.

Gli stili di attaccamento secondo la Strange Situation

Gli studi condotti con la Strange Situation hanno permesso di identificare tre pattern organizzati di comportamento di attaccamento: attaccamento sicuro: la persona utilizza meccanismi di regolazione affettiva più flessibili e adattivi che comportano una maggiore capacità di integrazione tra i sottosistemi implicati nel processo di regolazione affettiva (neurofisiologico, espressivo – motorio e cognitivo – esperienziale); attaccamento insicuro – evitante: la persona tende a minimizzare gli affetti; attaccamento insicuro – ambivalente: la persona tende a incrementare gli affetti e un pattern di attaccamento disorganizzato – disorientato (Main, Hesse, 1992).

Trauma e stili di attaccamento: il concetto di modelli operativi interni (MOI)

I diversi stili di attaccamento si strutturano attorno ai modelli operativi interni (MOI): schemi ideo-affettivi legati all’esperienza che il bambino fa nella sua relazione con l’ambiente sociale elicitati dalle modalità di accudimento del caregiver.

Quando il sistema di attaccamento è attivato da esperienze di paura e di dolore i diversi MOI determinano risposte comportamentali, emotive e cognitive differenti fra loro.

Un MOI sicuro si manifesta nella ricerca efficiente di aiuto e protezione, mentre un MOI insicuro dà invece luogo ad aspettative ambivalenti o negative rispetto al bisogno di aiuto e di conforto del bambino e di conseguenza ad una meno efficiente regolazione delle emozioni dolorose. Invece un MOI disorganizzato produce comportamenti contraddittori caratterizzati da una molteplicità di rappresentazioni mentali fra loro incoerenti (Bowlby, 1975 e 1983).

Per cogliere l’aspetto dinamico, processuale e intersoggettivo della molteplicità rappresentativa tipica del MOI disorganizzato Liotti (1993) ha utilizzato la metafora del “triangolo drammatico” di Stephen Karpman (1968) il quale suggerisce che il bambino disorganizzato tende a percepire sé stesso e la figura di accudimento secondo tre ruoli: il ruolo del persecutore, il ruolo della vittima e il ruolo del salvatore.

 

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