Aggressività e Psicoanalisi
Aggressività e Psicoanalisi
Grande importanza, nelle teorie psicoanalitiche, viene data al ruolo dell’aggressività nel normale sviluppo psichico dell’individuo oltre che in determinati “stati psicopatologici”. La problematica di fondo tuttavia rimane quella di stabilire se l’aggressività sia un istinto necessario ed immodificabile al centro delle esperienze emotive o, contrariamente, una reazione con eterogenei significati, ora adattivi ora difensivi, ma senza un vero e proprio significato “dinamico”.
A questo riguardo la metodologia di studio psicoanalitica ha valorizzato in modo particolare il rapporto tra aggressività ed istinto di morte, pur con aspetti e posizioni diversificate tra i vari studiosi. La nozione di pulsione aggressiva viene descritta per la prima volta in psicoanalisi da A. Adler[1] che parla espressamente di pulsione primaria ed innata; questa costituisce il punto di partenza della teoria per la quale il comportamento di un uomo scaturisce dalla “protesta” aggressiva nei confronti dei sentimenti di inferiorità; solo più tardi Freud, fortemente influenzato dagli studi di Darwin, parlerà di istinto aggressivo e di istinto di morte. Il fenomeno dell’aggressività viene spiegato in un primo tempo derivandolo dal conflitto tra le pulsioni sessuali e le pulsioni dell’Io; le prime sono deputate alla soddisfazione dei desideri, mentre le seconde all’autoaffermazione dell’individuo.
Successivamente Freud passerà, da una concezione dualistica della libido, ad una libido unica narcisistica[2]. Attraverso varie fasi di revisione delle proprie teorie, l’Autore concepisce un istinto di morte che si contrappone alla pulsione di vita e, in “Al di là del principio del piacere“[3], inizia a teorizzare una pulsione “elementare” precedente allo stesso principio del piacere; nel 1923 con “L’Io e l’Es” l’aggressività viene più precisamente ricondotta alla “pulsione di morte” e non più alle conflittualità tra eterogenee istanze psichiche.
Altri psicoanalisti hanno affrontato questo aspetto della vita umana tra i quali P. Federn (1932) e M. Klein (1938). Per quest’ultima, già ampiamente descritta nei capitoli precedenti, l’aggressività è componente precoce della relazione che il bambino ha con il seno materno[4]
Un altro autore degno di nota è lo psicoanalista John Bowlby che, seguendo la teoria freudiana, sostiene che la rabbia sia una reazione alla frustrazione di bisogni essenziali. In particolare, Bowlby (1973) ha dimostrato che un periodo di separazione dalla persona da cui si dipende emotivamente (chiamata figura di attaccamento) e la minaccia di separazione causano, nei bambini come negli adulti, dei comportamenti ansiosi e collerici. A suo parere, l’angoscia della separazione e il sentimento di frustrazione sono quindi alla radice dell’ostilità verso la figura di attaccamento. La collera servirebbe sia come rimprovero per quello che è accaduto, che come deterrente perché ciò non si verifichi più. Questo è uno dei casi tipici nei quali amore, angoscia e collera vengono suscitati da una stessa persona. In seguito, poichè vi è la tendenza a rimuovere dalla coscienza i propri sentimenti ostili verso le persone che si amano, può succedere che questi sentimenti vengano attribuiti ad altri o proprio alla persona amata-odiata della quale temiamo e sentiamo l’ostilità.
[1] Adler A. (1908).
[2] Freud S. (1914), Introduzione al narcisismo.
[3] Freud S. (1920).
[4] I concetti principali della teoria di Melanie Klein sono stati trattati precedentemente quindi, per approfondire questo tema, si rimanda il lettore al cap. 5.
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