Come la mindfulness può aiutarti a superare lo stress emotivo e il dolore

Il concetto di accettazione e mindfulness 

 

Il concetto di accettazione è al centro di numerose scuole di pensiero. Infatti già i teorici della psicoanalisi, in particolare Anna Freud, affermavano che il cambiamento terapeutico è realizzabile nel momento in cui si permette ai conflitti inconsci repressi di venire a galla e accedere alla coscienza (Freud, 1936). A sua volta, Alice Miller afferma che è possibile, da parte del soggetto, far emergere il vero Sé solo se quest’ultimo è capace di entrare in contatto con i propri pensieri negativi (Miller, 2008). La terapia della Gestalt si occupa invece, di verificare la consapevolezza da parte dell’individuo, dei suoi sentimenti, dei suoi pensieri e delle sue azioni, prestando particolare attenzione al “cosa” e al come”, piuttosto che al “perché” di un comportamento. Al contrario, nella psicologia umanistica viene data particolare attenzione alla terapia centrata sul cliente e per questo viene detta anche “terapia non direttiva”; questa, presuppone una condizione di parità tra il terapeuta e il cliente; il primo, ascoltando attivamente e in modo non giudicante ogni sentimento, ogni emozione o ricordo accetta senza alcun pregiudizio anche le esperienze interne del soggetto (Rogers, 1970).

Oggi, in riferimento alle terapie di terza generazione, il concetto di accettazione indica un processo attivo di consapevolezza rispetto alle proprie esperienze interne, che non implica necessariamente approvazione  o rassegnazione di fronte a situazioni che pensiamo non possano essere modificate. Al contrario, questo processo ci concede la possibilità di liberare tutte le nostre energie e le  risorse che, messe in atto, sono in grado di attuare un cambiamento in ciò che è possibile modificare.

Per quanto concerne il concetto di Mindfulness, dobbiamo innanzitutto soffermarci su un osservazione profonda delle dimensioni della vita quotidiana di un individuo. Oggi, a differenza del passato, la quotidianità è sempre più dominata dalla tecnologia che assorbe del tutto la nostra attenzione. Si passa da un’attività all’altra senza concederci  il tempo necessario per riflettere su quello che ci accade, sui comportamenti che assumiamo trascurando, di conseguenza, le relazioni interpersonali. Le nostre, sono vite che non ci danno alcuna possibilità di sintonizzarci con noi stessi e per questo, la Mindfulness propone un modo di essere consapevoli che può servire per migliorare la qualità di vita di un soggetto.

Il concetto di Mindfulness, affonda le sue radici nelle pratiche buddiste. Il termine deriva dalla parola “Sati” in lingua Pali e fa riferimento da un lato, ai fenomeni interni ed esterni che vengono concepiti come realmente sono, privi di ulteriori significati e di sofferenza, dall’altro si riferisce alla distinzione tra questi fenomeni e le distorsioni mentali del soggetto (Rainone, 2012). La parola “Sati” rimanda anche al verbo “Sarati” ovvero “ricordare”, poiché la capacità di rammentare i propri comportamenti e le conseguenze successive su di sé e su gli altri, permette al soggetto di imparare dai propri errori e differenziare ciò che è salutare da ciò che invece conduce a pensieri e azioni non salutari. Kabat-Zinn afferma: “i pensieri sono solamente pensieri, non rappresentano la realtà; la consapevolezza che noi non siamo i nostri pensieri porta al distanziamento da questi e alla possibilità di entrarci in relazione  per quello che in realtà sono: semplici eventi mentali, indipendentemente dal loro contenuto o dalla loro carica emotiva” (Rainone, 2012).

La Mindfulness dunque, può essere definita come una strategia per fronteggiare lo stress emotivo e il dolore sviluppando la capacità di vedere i pensieri come un interpretazione della realtà e non la realtà stessa. In questo stato mentale il soggetto impara a prestare attenzione alle proprie sensazioni fisiche, ai propri pensieri, accettandoli così come sono in maniera non giudicante, evitando di cambiarli o bloccarli; così facendo si parla di consapevolezza mindful ovvero, l’essere consapevoli degli aspetti della proprio mente. Questa consapevolezza sembra effettivamente migliorare la capacità di regolare le emozioni, di contrastare la disfunzione emotiva, di migliorare i pattern di pensiero e di ridurre gli assetti mentali negativi. Con uno stato mentale COAL, acronimo di curiosity, openness, acceptance and love (curioso, aperto, accettazione e amore), è possibile raggiungere un flusso FACES, acronimo di flexible, adaptive, coherent, energized and stable, ovvero flessibile, adattivo, coerente, energico e stabile (Siegel, 2009)

Queste dunque, le basi delle terapie di terza generazione che negli ultimi anni si sono sviluppate notevolmente. Senza alcun dubbio sarebbe stato interessante analizzarle una ad una ma in questo studio ci soffermeremo su un nuovo approccio psicoterapeutico che più di tutti mi ha incuriosito. Verranno per questo descritti gli assunti teorici e le tecniche principali della Compassion Focused Therapy ovvero, la terapia focalizzata sulla compassione (CFT).

Bibliografia

  • Freud, A. (1936). L’Io e i meccanismi di difesa. Martinelli. Firenze.
  • Miller, A. (2008). Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé. Bollati Boringhieri. Torino.
  • Rogers, C. R. (1970). La terapia centrata sul cliente. Teoria e ricerca. Martinelli. Firenze.
  • Rainone, A. (2012). La mindfulness, il non fare, l’accettare e il fare consapevole. Cognitivismo clinico 9, 2, 135-150.
  • Siegel, D. J. (2009). Mindfulness e cervello. Cortina Raffaello. Milano.

 di Maria Micoli

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