Motivazione: definizione e riassunto dettagliato

LA MOTIVAZIONE, DALLA STORIA, ATTRAVERSO LE TEORIE

DEFINIZIONE

“Ogni spinta da una causa ad una conseguenza è una motivazione.”

Dall’etimo latino “motus” è una spinta per svolgere una certa attività e può essere definita come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Da tale processo dipende l’avvio, la direzione, l’intensità e la cessazione di una condotta da parte del soggetto.

Nell’etimologia greca, il termine più affine è “thimos” spirito. Che è al tempo stesso l’organo del movimento e della volontà fisica e la sede delle emozioni e dell’anima. Nell’etimologia latina invece la parola motivazione è scomposta in “motivo – motivus (capace di far muovere) e “azione” – agere- (fare).

I primi studi sulla motivazione risalgono agli scritti dei filosofi greci sull’edonismo e sulla ricerca del piacere (Epicuro).

Se andiamo a ricercare il significato della parola “motivazione” andremo ad incontrare molteplici definizioni del termine:

  • “insieme dei processi psicologici che provocano la nascita, la direzione e la persistenza di azioni volontarie dirette verso un obiettivo” (Gabrielli, 2010, pag. 94);
  • “complesso processo delle forze che attivano, dirigono e sostengono il comportamento nel corso del tempo” (Avallone, 1994, pag. 128);
  • “costrutto usato per spiegare l’inizio, la direzione, l’intensità e la persistenza del comportamento diretto verso un obiettivo” (Cortese, 2005, pag. 2);
  • “il perché gli organismi agiscono nel modo in cui agiscono. La motivazione è lo stato interno di un organismo che lo spinge ad agire in un certo modo” (Caldwell, 1996, pag. 148)

Le diverse definizioni hanno un comun denominatore: si riferiscono tutte alla dimensione più intima e irrazionale dell’individuo.
Vi sono due differenti approcci che inglobano diverse teorie in grado di esplicare la motivazione e i processi motivazionali: la teorie del contenuto e le teorie del processo.

Le teorie del contenuto prendono in considerazione le cause da cui ha origine la motivazione e il conseguente comportamento, focalizzandosi principalmente sui bisogni individuali; le teorie del processo prendono in considerazione le modalità di cambiamento del comportamento e in particolare il come una persona cambia il proprio modo di agire

IDENTIFICARE LE CARATTERISTICHE DELLA MOTIVAZIONE

“La motivazione è un elemento dinamico caratterizzato da energia e movimento ed attivato attraverso la percezione”
Dalle definizioni della parola “motivazione” emergono costantemente tre parole:

  • MOTIVO (Senso, ragione, causa)
  • AZIONE (conseguenza)
  • MOTO (movimento, spostamento)

Mentre il motivo, la ragione, la causa sono aspetti che possono essere legati al nostro io interiore, alle cose in cui crediamo, ai nostri valori, l’azione ed il moto rappresentano l’intensità con cui desideriamo operare in un determinato moto dopo aver avuto la percezione di ciò che ci circonda.

Quindi, la motivazione apparirebbe come qualcosa che ci spinge a muoverci. Per spostarci dalla causa alla conseguenza attraverso un’azione motivata dalla percezione di una realtà e dalla ricerca di un risultato con conseguenze appaganti; ecco che entra in gioco una nuova parola: la percezione

“La percezione è il processo psichico che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato. Gli assunti allo studio della percezione variano a seconda delle teorie e dei momenti storici che si susseguono”

Conferiamo quindi, anche attraverso la definizione suscritta che attraverso lo scatenarsi di una causa percepita e dotata di significato siamo motivati ad agire per arrivare ad una conseguenza dotata di significato. Motivazione quindi che indica un’azione “spinta da un obiettivo”

“La motivazione è l’espressione dei motivi che inducono un individuo a compiere o tendere verso una determinata azione. Da un punto di vista psicologico può essere definita come l’insieme dei fattori dinamici aventi una data origine che spingono il comportamento di un individuo verso una data meta”

La motivazione svolge fondamentalmente due funzioni: attivare e orientare comportamenti specifici. Nel primo caso si fa riferimento alla componente energetica di attivazione della motivazione. Nel secondo caso si fa riferimento alla componente
direzionale di orientamento.”

Fattori dinamici quindi, la motivazione di un individuo è variabile in intensità e questo rappresenta un punto di conoscenza importante sia per l’individuo che dovrà migliorare sia per l’organizzazione che dovrà promuovere un clima ideale per questo miglioramento.

Il segreto del successo risiede nel “motivus”, nella forza che anima intrinsecamente l’uomo; forza così potente da condurlo su alte vette. Ne è convinto anche Richard Denny che, nel suo libro “Motivazione: l’arma vincente”, sostiene fermamente che lo stimolo motivazionale rappresenta la chiave del successo sia in ambito lavorativo che nella vita. Quanto più si è motivati, tanto più alte saranno le possibilità di riuscita e tanto migliori saranno i risultati raggiunti: la motivazione al lavoro riveste oggi un’importanza fondamentale e strategica allo stesso tempo.

Per questo il management deve essere abile nel carpire, sfruttare e valorizzare le differenze individuali, che sono il motore per spronare, incoraggiare e coinvolgere gli individui appartenenti ad un’organizzazione (Denny, 2002).

La Motivazione dagli anni 50 ad oggi:

le Teorie

Un concetto così importante ha originato nel tempo un’enorme mole di speculazioni e studi sul campo. Dagli anni Cinquanta in poi, infatti, sono stati proposti numerosi modelli esplicativi sul tema motivazionale: Maslow, McClelland e Herzberg hanno assunto un approccio orientato all’analisi dei contenuti, focalizzandosi sulle “spinte” che determinano la variabilità della condotta umana.

Altri autori, tra i quali Vroom e Locke, hanno basato il loro studio sull’analisi dei processi che conducono all’espressione di una certa motivazione (Cortese, 2005).

Per quanto riguarda l’ambito organizzativo, la forza motivazionale riveste un’importanza fondamentale: essa, infatti, rappresenta l’energia che il soggetto investe sia nella realizzazione di prestazioni connesse a compiti specifici, sia nella relazione con l’organizzazione, orientata verso il consolidamento del legame di appartenenza (Quaglino, 1999).

Esiste, in effetti, una correlazione tra performance e motivazione: in maniera specifica è possibile esprimere la performance come funzione della motivazione e delle capacità, dato un determinato contesto (Tosi, Pilati, 2008).

Teoria dei bisogni di Maslow

Abraham Maslow è senza dubbio uno tra i più importanti psicologi del 20° secolo e la gerarchia dei bisogni, insieme alla piramide che rappresenta come i bisogni sono classificati, è ben nota molti manager e studenti di business.

La teoria di Maslow si basa su una semplice premessa: gli esseri umani hanno dei bisogni e questi bisogni appartengono ad una struttura gerarchica (Maslow, 1973). Per cui ci sono bisogni che sono basilari per tutti gli esseri umani e in loro assenza nient’altro potrebbe importare se non la loro soddisfazione. Una volta soddisfatti questi bisogni basilari, ci si può interessare a bisogni più alti nella gerarchia.

Bisogni basilari soddisfatti non sono più fonte di motivazione. I bisogni di base secondo Maslow sono quelli fisiologici che si riferiscono ai bisogni vitali come necessità di aria, acqua, cibo. Basti pensare ad una persona che per esempio non beve da due giorni, è abbastanza ovvio che dopo tutto questo tempo senza acqua lo porti a orientare energie e comportamenti verso la ricerca di acqua.

Una volta soddisfatto questo bisogno ecco che ci si può dedicare ai bisogni successivi, quelli di sicurezza. Riguardano la sicurezza da pericoli, paure, ma anche da fattori meno tangibili come un futuro incerto ad esempio. Un livello sopra e ci sono i bisogni sociali che si riferiscono al bisogno di avere legami con altri individui, di essere amati e di coltivare relazioni.

Di fatto la mancanza di relazioni può danneggiare la salute e il benessere (Maslow, 1973). La soddisfazione dei bisogni sociali rende i bisogni legati all’autostima più salienti. La stima deriva sia da fattori interni che da fattori esterni all’individuo. Infine al più alto livello della gerarchia si trova il bisogno di autorealizzazione che si genera acquisendo nuove abilità, mettendosi in gioco su nuove sfide, realizzando azioni che portano al conseguimento degli obiettivi voluti.

La gerarchia dei bisogni di Maslow è un metodo sistematico che vuole individuare quali siano i bisogni dei dipendenti in determinati momenti della loro carriera e può aiutare a decifrare perché, pur con lo stesso trattamento, i lavoratori si comportano in modo diverso.

Ad esempio un dipendente impegnato a ricercare la stima dei colleghi e del responsabile sarà gratificato quando il suo responsabile gli comunica che sta facendo un bel lavoro. Diversamente, per un’altra persona che necessita di bisogni di tipo sociale, una gratificazione da parte del responsabile, in particolare di fronte ai colleghi, potrebbe risultare sconveniente e quindi negativa per il soggetto.

A questo punto ci si può porre una domanda. Come può quindi un’organizzazione soddisfare tutti i diversi bisogni dei sui dipendenti?

Nel lungo termine i bisogni psicologici possono venire soddisfatti dall’entità dello stipendio ma è importante notare come la paga percepita possa anche soddisfare anche altri bisogni come quelli di sicurezza e autostima. Una politica retributiva ricca di benefit come assicurazione, piano per la pensione, ma anche misure relative alla sicurezza provvede a costruire nel dipendente una percezione di sicurezza.

Per quanto riguarda i bisogni sociali, l’organizzazione deve adoperarsi per fornire ambienti, strutture e mezzi che possano incoraggiare le relazioni e la comunicazione. Sono apprezzati gli eventi di team building anche al di fuori del contesto lavorativo. E’ inoltre importante il riconoscimento, verbale o sotto forma di benefit, del lavoro svolto.

Lavorare sull’ autorealizzazione significa prendersi carico della crescita e dello sviluppo del dipendente. Dare la possibilità di misurarsi con nuovi compiti, opportunità di crescita professionale, mantenendo il lavoro interessante e sfidante. Agire in modo
efficiente su tutti i livelli della piramide di Maslow permette all’organizzazione di migliorare la motivazione della forza lavoro.

Teoria dei fattori igienici-motivanti di Herzberg

Fredrick Herzberg ha approcciato all’argomento della motivazione in maniera diversa. Studia ciò che nell’ambito lavorativo soddisfa oppure non soddisfa i dipendenti. Si basa su una ricerca in cui ai soggetti esaminati si chiedeva di elencare quali avvenimenti della loro vita professionale avevano provocato soddisfazione e qualiavvenimenti avevano provocato insoddisfazione.

Arriva alla conclusione che gli aspetti che riguardano la soddisfazione di un individuo nell’ambiente lavorativo sono molto diversi da quelli che riguardano l’insoddisfazione e sono indipendenti l’uno dall’altro (Herzberg, 1959).

Herzberg prende lo spunto da queste analisi per elaborare una teoria fondata sulla distinzione tra due grandi classi di fattori. Da un lato vi sono quelli che riguardano le condizioni esterne al lavoro, come l’ambiente fisico, l’ambiente sociale, la sicurezza, la remunerazione, e che Herzberg definisce i fattori igienici.

Dall’altro vi sono i fattori che riguardano il contenuto interno del lavoro, e quindi la capacità di procurare una crescita professionale, definiti come i fattori motivazionali.

Herzberg sostiene che i fattori che avevano maggiormente contribuito a generare soddisfazione riguardavano i contenuti del lavoro in quanto tali, mentre i fattori di insoddisfazione erano maggiormente rappresentati dall’ambiente di lavoro e dalla remunerazione (Herzberg, 1959).

La tesi di Herzberg è che i fattori igienici non possono in quanto tali procurare una effettiva soddisfazione. Il miglioramento dei fattori igienici o ambientali (più salario, più comfort, ecc.) può portare soltanto a una minore insoddisfazione, ma questa non si tradurrà mai nella comparsa di una soddisfazione in senso positivo.

Per avere una soddisfazione reale in positivo occorre agire su altri fattori riguardanti la natura stessa del lavoro, nonché le motivazioni dell’uomo ad eseguire tale lavoro.

La teoria dei bisogni di McClelland

Nelle teorie motivazionali basate sui bisogni quella di McClelland ha raggiunto molti consensi e si conferma come una di quelle più influenti. Secondo questa teoria gli individui, durante la loro esperienza di vita, acquisiscono tre tipologie di bisogni.

Bisogno di successo, affiliazione e potere. Ne possiedono quindi una combinazione in un mix diverso a seconda del soggetto. I dipendenti con alto bisogno di successo preferiscono ed eseguono compiti che presentano moderate difficoltà, in modo che il rendimento rifletta le loro abilità. Sono molto perseveranti quando sono impegnati in compiti gravosi e amano ricevere un feedback immediato in modo da poter dire a quale buon livello si collocano le loro azioni. Sempre alla ricerca di una sfida, questi
individui cercano, inoltre, di trovare modi sempre più efficienti per svolgere i loro compiti (McClelland, 1982).

Il bisogno di affiliazione è inteso come esigenza di stabilire mantenere e promuovere relazioni affettive positive con altre persone. I soggetti con alto bisogno affiliativo prediligono le relazioni e soprattutto il fatto di essere accettati dagli altri
(McClelland, 1925).

Questa enfasi verso la costruzione di relazioni armoniose con i colleghi è un punto di forza soprattutto in occupazioni che presentano bassa conflittualità e che richiedono qualità e frequenza degli scambi interpersonali. In occupazioni manageriali invece diventa uno svantaggio soprattutto per la preoccupazione di questi individui sul giudizio che gli altri posso avere di loro stessi.

Diventano quindi difficili le prese di posizione e la gestione dei conflitti. Bisogno di potere è inteso come esigenza di lasciare una traccia significativa di se nella realtà, di influenzare e di controllare gli altri. I soggetti che presentano alti punteggi in questo bisogno sono competitivi e interessati a mantenere o ristabilire il proprio prestigio o potere.

McClelland (1976) sostiene che le posizioni manageriali debbano essere ricoperte da persone in cui coesistano un alto bisogno di potere e un minore bisogno di affiliazione.

Gli individui differiscono nella nel mix di ognuno di questi motivi, inoltre le situazioni variano nel grado in cui sono collegate, determinando natura e intensità della motivazione.

La teoria dell’aspettativa di Vroom

Il punto centrale della teoria di Vroom è che i bisogni non sono sufficienti per spiegare il comportamento motivato, ma vanno introdotti nuovi elementi soggettivi come la valenza e l’aspettativa; in altri termini, la soddisfazione del lavoratore deriva dal raggiungimento di quei risultati per cui ogni individuo è motivato ad agire.

La teoria dell’aspettativa rivela un approccio sostanzialmente fondato sulla dimensione della scelta cognitiva (Vroom, 1964). Gli individui indirizzano i propri sforzi verso le attività che portano all’ottenimento di risultati desiderabili. In accordo con essa gli individui si pongono tre domande.

La prima riguarda la percezione di quanto un comportamento orientato verso una prestazione possa condurre ad una ricompensa. Questa domanda riguarda l’aspettativa che è la percezione di quanto lo sforzo o l’impegno verso una prestazione possa condurre alla ricompensa attesa.

L’aspettativa si basa su probabilità soggettive ma esistono ulteriori elementi da tenere in considerazione, come l’autostima, il livello delle capacità possedute, la qualità delle risorse e il possesso delle informazioni necessarie per compiere il lavoro. Anche i
successi raggiunti in precedenti compiti affini possono aumentare la percezione positiva.

La seconda è legata alle ricompense connesse al risultato di una prestazione. Il concetto è quello di valenza cioè la valutazione personale sulla soddisfazione, o insoddisfazione, che un determinato risultato può generare. Se un risultato ha valenza bassa, così sarà anche la motivazione a raggiungerlo.

La terza riguarda il legame tra performance e risultato, la strumentalità. La probabilità che un determinato impegno porti a determinati risultati. Se una risorsa al lavoro ritiene che l’alto livello di performance sarà strumentale, ovvero funzionale all’ottenimento di premi/ricompense che possano essere gratificanti, allora egli attribuirà un elevato valore al lavorare bene.

Le tre variabili sono legate da un relazione funzionale talmente stretta da rendere nullo il livello motivazionale se si rivela nulla una delle tre variabili:

Motivazione = Aspettativa × Valenza x Strumentalità

La teoria di Vroom sottolinea che gli individui sono attratti da diverse tipologie di ricompense. Il valore associato a queste ricompense è condizionato da ai bisogni autorealizzativi e da variabili associate all’autodeterminazione nell’ambiente professionale.

Considerando quanto detto, per aumentare la motivazione degli individui nelle organizzazioni è necessario definire con cura il rapporto tra la professione e il conseguimento dell’obiettivo e tra performance e sistemi premianti.

La sfida dal punto di vista del manager o del datore di lavoro è quella di fare leva su tutte e tre le variabili (Vroom, 1970). Ciò comporta che la direzione deve saper studiare un sistema di incentivi che, tenendo conto delle peculiarità individuali, sappia
definire mete, che per la loro elevata aspettativa e per il rilevante valore che i singoli vi attribuiscono, sappiano dar vita ad una consistente forza motivazionale al lavoro.

Il conseguimento della soddisfazione non dipende infatti solo dalla progettazione di adeguate variabili organizzative, ma è soprattutto in funzione della conoscenza della sfera soggettiva dell’individuo la quale filtra e valuta, in maniera determinante, le stesse variabili organizzative.

Per Vroom, sarebbe un errore considerare il problema della motivazione lavorativa senza prescindere dalle peculiarità soggettive degli individui. E’ un errore considerare il problema dal punto di vista classe di una classe di riferimento (ad esempio operaio, impiegato, manager) invece di fare riferimento al soggetto singolo.

Motivazione intrinseca ed estrinseca

La motivazione può essere suddivisa in motivazione intrinseca e motivazione estrinseca. Secondo Amabile (1993) gli individui sono motivati intrinsecamente quando ricercano nell’ambiente lavorativo: interesse, soddisfazione, espressione di sé oppure
sfida personale. Gli individui sono estrinsecamente motivati quando la motivazione è legata a fattori esterni all’attività lavorativa. Il personale può essere motivato solo intrinsecamente, solo estrinsecamente oppure in entrambi i modi.

Il concetto di motivazione intrinseca esprime il desiderio di intraprendere un’attività per la soddisfazione ad essa inerente, anziché per una conseguenza da essa separata (Deci e Ryan, 2008). Una persona intrinsecamente motivata si attiverà dunque
verso quelle azioni che stimolano in lui interesse, sfida, piacere e che non lo assoggettano a pressioni esterne.

La motivazione intrinseca è dunque auto-determinata. Diversamente, le attività estrinsecamente motivate verranno intraprese perché strumentali all’ottenimento di una ricompensa sotto forma di premio, lode, riconoscimento ma anche approvazione di se stessi.

Vroom (1964) sostiene che alcuni individui prediligono fattori estrinseci mentre altri fattori intrinseci e che i fattori motivanti di tipo estrinseco ed intrinseco possano avere effetti diversi a seconda della tipologia dell’individuo. Individui focalizzati sulla motivazione intrinseca prediligono compiti cognitivi sfidanti, il che significa che incentivi economici, obiettivi e scadenze non avranno grande effetto sulla loro motivazione.

La relazione tra motivazione estrinseca ed intrinseca

Da quanto sostenuto nel capitolo precedente si è potuto constatare una evidente distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca. Nonostante ciò, molte ricerche sostengono esista una relazione tra le due tipologie motivazionali. Tra i pionieri, Deci
(1972) ritiene che in alcuni casi la motivazione estrinseca possa ridurre la motivazione intrinseca.

Osserva che se gli incentivi economici vengono somministrati in maniera contingente si verifica un decremento della motivazione intrinseca. Questo non accade se gli stessi incentivi economici vengono invece somministrati in modo non contingente.

Rispetto a queste due componenti, grande interesse è stato posto all’effetto crowding-out (Frey, 2001) ossia alla possibilità che un eccesso di motivazione estrinseca, causi una riduzione della motivazione intrinseca. Ad esempio un aumento di stipendio può causare una diminuzione dell’interesse personale e della volontarietà dell’azione, lasciando inalterato o addirittura facendo decrescere l’impegno sul lavoro.

Questa analisi, come già evidenziato da Deci (1972) sostiene la possibilità che il salario entri nella funzione di scelta dell’individuo non più solo come una determinante positiva, ma anche con una componente negativa, intermediata da effetti distorsivi sulle altre motivazioni.

Per Amabile (1993) la motivazione estrinseca può decrementare quella intrinseca ma fa notare che in alcuni casi invece potrebbe fare da rinforzo. La combinazione di tutte e due le tipologie di motivazione può portare ad un alto livello della soddisfazione e delle performance.

Concludendo, come sostenuto dalle ricerche di Deci (1972), Frey (2001) e Amabile (1993) si può sostenere che la motivazione intrinseca e quella estrinseca si influenzano l’una con l’altra. L’utilizzo di entrambe è auspicabile per raggiungere alti livelli di performance ma in alcuni casi un uso improprio di fattori motivanti estrinseci può portare ad un indebolimento della motivazione intrinseca.

Per quanto riguarda il contesto, esso rappresenta l’ambiente in cui si svolge l’attività e in cui deve essere realizzata la prestazione elementi che favoriscono la realizzazione della performance, sia ostacoli/minacce che possono impedire il raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Gli elementi dell’equazione sopraindicata sono strettamente interconnessi tra loro; prestazione/performance: rappresenta il risultato di uno sforzo definibile sia in termini qualitativi che in termini quantitativi (Tosi,Pilati, 2008). E’ possibile distinguere la task performance (attività strettamente connesse allo svolgimento del proprio lavoro), la contextual performance (attività che superano i confini della mansione svolta e fanno riferimento ad azioni in grado di migliorare il clima lavorativo), l’ethical performance (si fa riferimento alla dimensione etica della prestazione, compiendo azioni eticamente corrette);

  • capacità: abilità, skills, conoscenze dell’individuo; possono essere innate o apprese;
  • motivazione: è la componente significativa della performance, ed è una delle determinanti del comportamento individuale
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