L’efficacia della mindfulness nel trattamento del borderline

Il concetto di mindfulness affonda le sue radici nelle tradizioni buddiste. Deriva dalla parola “Sati” e fa riferimento a uno stato caratterizzato da “presenza mentale” in cui fenomeni interni ed esterni da un lato vengono visti come realmente sono, mentre dall’altro si fa una distinzione tra fenomeni e le proprie proiezioni e distorsioni mentali, come affermano Uchiyama (2004), Tsoknyi (1998) & Thera (1973).

Lo sviluppo della Sati o “presenza mentale” porta all’aumento della consapevolezza delle proprie azioni, intenzioni, emozioni, pensieri, parole e delle conseguenze che inevitabilmente possono manifestarsi nei confronti degli altri ma soprattutto verso se stessi. La mindfulness è considerato un approccio che si fonda essenzialmente nell’esperienza personale del soggetto, la messa in pratica di regole e tecniche precise e definite, è sol un punto di partenza per esplorare la propria essenza e divenire attenti e presenti in tutto quello che la mente sta vivendo in quel preciso istante; aprirsi totalmente a quell’esperienza che per noi è tanto ampia quanto sconosciuta (Segal, Williams & Teasdale, 2006).

L’uso clinico moderno della mindfulness viene riferito a Jon Kabat-Zinn che la definisce come quel processo che porta a prestare attenzione all’esperienza nel momento in cui la si vive in modo non giudicante e intenzionale, momento dopo momento (Kabat-Zinn, 2003). La mindfulness è stata incorporata nelle terapie cognitivo-comportamentali come nella Terapia Dialettico Comportamentale DBT e viene definita come il conscio tentativo di valutare l’esperienza soggettiva del momento presente attraverso l’attenzione volontaria, sospendendo per un attimo il giudizio sull’esperienza, focalizzando quindi l’attenzione sui propri pensieri, sensazioni e osservazioni volontarie (Segal, Williams & Teasdale, 2006). Possedere dunque una capacità di mindfulness implicherebbe la facoltà di focalizzarsi sull’esperienza, sui propri sentimenti, pensieri, immagini e sensazioni corporee.

La DBT è un tipo di trattamento che si focalizza su tutti quei comportamenti disfunzionali con lo sforzo di identificare quali siano i pensieri, le emozioni e i comportamenti del soggetto borderline per poter sviluppare la soluzione più adattiva favorendo nuovi apprendimenti che avvengono attraverso l’esperienza (Gabbard, 2010).

Si pone una particolare attenzione ai propri sentimenti e alla percezione che il soggetto ne fa, sia che si tratti di sentimenti spiacevoli sia piacevoli.

Il borderline per mettere correttamente in pratica ciò, deve essere in grado osservare i propri processi psichici e i propri stati soggettivi, adottando un costante atteggiamento di curiosità, apertura e soprattutto accettazione e amore per se stesso. Si tratta di mettere in pratica un metodo che permetta di poter attuare una relazione con il proprio Sé, sintonizzandosi con esso; potendo così giungere agli obbiettivi terapeutici che la mindfulness include, ovvero “regolazione dell’attenzione, affettività e autostima attraverso l’accettazione e l’apertura nei confronti della propria esperienza” (Kernberg, 2013, p.52).

Il concetto di mindfulness viene incluso nella DBT come un’abilità fondamentale per la regolazione delle emozioni, la tolleranza allo stress e l’efficacia interpersonale, considerando anche l’intera panoramica di trattamento che comprende anche il problem solving, la validazione e la dialettica. Rispettivamente si occupano di analizzare il problema e ricavare poi soluzioni che comprendano lo stile comportamentale, strategie dialettiche e strategie d’insight, feedback e rinforzi al paziente necessari per un supporto adeguato fornendo infine linee guida per aiutarlo a raggiungere nuove possibilità partendo dalle vecchie limitazioni provando cosi a comprendere diversamente tutti quei problemi che prima sembravano essere insormontabili (Gabbard, 2010).

Prendendo in considerazione quanto appena citato, il borderline difficilmente riesce a intraprendere relazioni d’amore che siano stabili e durature in quanto, come afferma Erikson (1956), la diffusione dell’identità, tipica di questo disturbo, porta inevitabilmente a sviluppare un’incapacità nello stabilire relazioni intime con il partner.

Westen (1992) sintetizza quali sono le principali componenti dell’identità che permettono lo sviluppo normale del soggetto, partendo da un senso di continuità che si prolunghi nel tempo, fare un investimento dal punto di vista emotivo su tutte le particolari rappresentazioni relative al proprio Sè, ai proprio valori e agli standard ideali; accentando una visione del mondo che dia un senso alla vita del soggetto stesso e allo stesso tempo avere la possibilità di ricevere un qualche tipo di riconoscimento da persone che siano significative.

Considerando tali mancanze, il borderline necessità di effettuare un percorso sul proprio Sé, sulla ricostruzione della sua identità per poter poi riuscire ad amare.

La mindfulness propone un addestramento che porta il borderline a sviluppare la capacità di ottenere una visione chiara dei propri pensieri, delle proprie emozioni e sensazioni considerando le conseguenze legate al caso vivendo momento dopo momento, grazie a delle particolari tecniche di meditazione.

di Chiara Carnevali

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